Recensione Neve (2013)

Dopo la presentazione a Courmayeur, e un anno di "limbo", il film di Stefano Incerti approda in sala: 'Neve' è un atipico noir dei sentimenti, che usa i codici del genere per destrutturarli, e affida molto (ma non tutto) alla bravura dei suoi due protagonisti.

Un uomo viaggia in auto attraverso il panorama innevato della provincia abruzzese. Non si sa dove sia diretto, ma porta con sé una pistola, e un articolo di giornale che parla di una rapina e di soldi. Tanti, di quelli che migliorano sensibilmente la vita. Nell'immobile paesaggio bianco, davanti a lui, una donna viene scaricata da un'altra automobile, dopo un violento diverbio con l'altro occupante. L'uomo prende con sé la donna, e i due decidono di fare un tratto di strada insieme. Quanto lungo, e con quali conseguenze, ancora non si sa. Ciò che è chiaro, però, è che il passato li insegue entrambi, e che il futuro è nebuloso (ma anche pericoloso) come una tempesta di neve.

C'è voluto un anno prima che Neve, nuovo lungometraggio di Stefano Incerti (il suo settimo di fiction) approdasse in sala. Prima, c'era stata la presentazione al Courmayeur Noir In Festival, e poi un lungo limbo, analogo a quello di altre opere indipendenti prodotte nel nostro paese. Perché l'opera di Incerti, va detto, ha non solo le dimensioni produttive, ma anche il mood e l'attitudine di certo cinema indipendente: messa in scena anti-spettacolare, minimalismo esibito, dialoghi ridotti all'osso e un mistero tutto racchiuso, più che in una trama che sceglie di restare involuta, negli sguardi e nelle azioni dei due protagonisti. Due ottimi Roberto De Francesco ed Esther Elisha, sulle spalle dei quali è caricato molto (ma non tutto) del peso del film.

Bianco noir

Neve: una scena tratta dal film
Neve: una scena tratta dal film

Neve è innanzitutto un noir, e questo sembra già un ossimoro. Il bianco, che è la tonalità dominante del film di Incerti, contrasta col nero delle pulsioni interne, quello che magari i protagonisti hanno abbracciato loro malgrado, costretti dalle circostanze e dal percorso finora compiuto. Il paesaggio, gli esterni dell'Appennino abruzzese, le montagne coperte di bianco e i paesini che sono poco più di quattro case in croce: tutto questo, secondo le parole del regista, voleva rappresentare "un altro personaggio", ma la scelta è quella del minimalismo e della suggestione espressa a bassa voce, piuttosto che dell'uso esplicito e in chiave significante delle scenografie naturali. Siamo più dalle parti dei recenti thriller scandinavi che di Terrence Malick, insomma.
Il bianco, d'altronde, raggela il clima ma non i sentimenti, getta una coltre uniforme che copre, ma non cancella, nasconde ma non riesce a seppellire: sotto gli sguardi e le movenze e le poche parole di Donato e Norah, c'è un mondo. Un mondo caldo, addirittura infuocato, di dolore ma anche di auspici. Anche quelli, solo suggeriti, perché la retorica non fa proprio parte dell'universo autoriale del regista. Ne fa parte, invece, il rapporto coi generi e coi loro codici: e qui, oltre al noir, c'è anche il road movie, la metafora del viaggio come ricerca di qualcosa dentro, magari ancora da precisarsi per gli stessi personaggi. Il contrasto tra il fuori e il dentro torna ancora, informando di sé tutte le scelte espressive (e gli snodi narrativi) del film.

Alludere, suggerire, destrutturare

Neve: Esther Elisha in una scena del film
Neve: Esther Elisha in una scena del film

Ciò che Incerti mette in scena è quindi un incontro e una ricerca; oltre che un mistero che, seguendo i canoni espressivi del genere, si dipana poco a poco. La sceneggiatura, scritta insieme a Patrick Fogli (non a caso, un giallista) sceglie di rivelarne, all'inizio, lo stretto indispensabile; presentando una vicenda già in itinere, in cui lo spettatore è immerso senza punti di riferimento, senza i privilegi cui la sua ottica, al cinema, lo ha abituato. Il disvelamento dell'intreccio arriva per accumulazione di indizi, anche quelli, fedeli alla natura anti-retorica del film, gettati sullo schermo quasi per caso: una foto, una pistola, qualche parola scarabocchiata su un taccuino, un sms letto di soppiatto. Lo "spiegone", di sicuro, non abita qui: ma lo spettatore, quasi ipnotizzato dall'incedere avvolgente del film, e dalla malìa che emana, sente di non averne bisogno.

Neve: una scena del film
Neve: una scena del film

E allora, i non detti diventano protagonisti, nella trama come negli sguardi accorti, a volte timidi, sempre fonte di empatia, di De Francesco e della Elisha: ma non sono quei non detti che minacciano e uccidono un rapporto, semmai quelli che suggeriscono, avvicinano e in definitiva legano. Che accompagnano l'incontro tra due personaggi che sembrano anch'essi costruiti tenendo a mente i codici del genere, salvo poi destrutturarli completamente: poco, pochissimo criminale in fuga lui, femme per niente fatale lei, dalla fragilità chiaramente leggibile.
Al completamento, volutamente episodico e a singhiozzo, del quadro generale della narrazione, segue un finale aperto: sicurezze, il film di Incerti, non vuole proprio darne. E in definitiva, per la strada che ha scelto di prendere, fa bene.

Conclusioni

Neve: Esther Elisha in una scena del film con Massimiliano Gallo
Neve: Esther Elisha in una scena del film con Massimiliano Gallo

Intenso nel suo essere narrato sottovoce, minimale senza esserne compiaciuto, "di genere" ma rivelatore (e perpetuatore) di un preciso universo autoriale: Neve è cinema che accompagna senza colpire direttamente, che accumula materiale (narrativo, cinematografico, umano) lasciando allo spettatore il compito di districarsi nei suoi meandri. Fuoriuscendone (se vuole) col suo livello di coinvolgimento e con le sue conclusioni. Per chi è disposto a seguire Incerti e i protagonisti, alle loro condizioni, nel loro viaggio, un'esperienza che senz'altro vale la pena di fare.

Movieplayer.it

3.5/5