Recensione Fedele alla linea - Giovanni Lindo Ferretti (2013)

Il documentario di Germano Maccioni accetta la sfida di raccontare un personaggio complesso, sfuggente, per sua natura refrattario alle rappresentazioni: il risultato è un ritratto dell'uomo-Ferretti, e della sua arte, affascinante e di spessore.

Racconto (in)quieto

Su un personaggio come Giovanni Lindo Ferretti si potrebbero riempire pagine e pagine, senza tuttavia giungere a una definizione esaustiva, che afferri la sempre sfuggente essenza del personaggio. Il cantore del punk italiano, prima leader dei CCCP/CSI/PGR (secondo una successione che ha scandito le diverse fasi della sua ricerca musicale), poi cattolico convinto, è una figura che non smette di dividere. Gran parte dei suoi vecchi fan lo bolla ora, senza mezzi termini, come un traditore: eppure, una definizione del genere appare fin troppo semplicistica, per un personaggio che, già da quando abbracciava un movimento (il punk) e un'ideologia (quella comunista) appariva decisamente autonomo e originale rispetto ad entrambi. Tanti, troppi suoi ammiratori hanno probabilmente tralasciato di notare questa autonomia intellettuale, questa continua ricerca artistica e personale, che ha portato il cantautore ai (per molti versi discutibili) approdi odierni. Sia quel che sia, il personaggio (e l'uomo) Ferretti ha segnato a fondo la musica italiana dell'ultimo trentennio, scrivendone pagine fondamentali: provare a raccontarlo in modo compiuto, assemblando i frammenti finora prodotti, era per il cinema un atto quasi doveroso. Ci prova ora, con un documentario dall'eloquente titolo Fedele alla linea - Giovanni Lindo Ferretti, il regista Germano Maccioni: il progetto, originariamente pensato dallo stesso Ferretti, doveva inizialmente raccontare la nuova sfida del cantautore, un progetto di teatro equestre intitolato Saga.

Malgrado le intenzioni iniziali, Fedele alla linea si è trasformato presto in un documentario incentrato principalmente sulla figura di Ferretti: figura ingombrante e magnetica, capace col suo solo volto, e con le sue parole, di riempire lo schermo. Il nuovo progetto dell'artista, che ben ne riflette lo stile di vita e la filosofia attuali, trova spazio soprattutto nella seconda parte: eppure, va detto che l'idea alla base di Saga (un racconto epico di una terra lontana dalla modernità, con al centro un simbolo come il cavallo) informa di sé gran parte del film. Con buona pace dei suoi detrattori, il Ferretti di oggi è questo: un cantore/poeta di un tempo (e di un luogo) al di fuori della modernità, che è in parte progetto di vita e in parte "selvaggia" utopia. I germi di questa ricerca, nel suo lavoro, sono sempre stati presenti: la loro sottovalutazione è stata, in gran parte, origine dei tanti fraintendimenti successivi. La tensione verso la rivolta, anche negli anni giovanili (relativamente: va ricordato che i CCCP esordirono con un Ferretti più che trentenne) si è sempre accompagnata all'inquietudine verso un allontanamento da casa vissuto in modo problematico. Questa dualità, questa tensione tra spinte opposte, è al centro di questo documentario, che viaggia disinvoltamente tra passato e presente, tra preziose immagini d'archivio (musicali e non) e un Ferretti che si racconta, nel suo casolare tra i monti di Cerreto, a fondo e non senza ironia. Così come, secondo lo stesso cantautore, il suo progetto di teatro è "naturalmente destinato al fallimento", anche il racconto della sua persona appare fatalmente avviato verso un esito simile: eppure, Maccioni non si sottrae alla sfida, stimolante di per sé.
Il progetto di Fedele alla linea, la sua stessa ragion d'essere, si sono dunque modificati in corso d'opera, ma l'essenza è rimasta la stessa: d'altronde, raccontare una qualsiasi opera di un personaggio come Ferretti, equivale inevitabilmente a raccontare un po' di lui. Il cantautore, nell'incontro in cui il film è stato presentato alla stampa, ha parlato di qualche momento di tensione col regista, di divergenze sulla direzione che il film doveva prendere: eppure, di tutto ciò non c'è traccia nell'opera, che mostra un Ferretti rilassato e "pacificato" come poche volte ci è capitato di vederlo. Lo stesso, unico momento di ritrosia che il documentario mostra, quando il racconto di un momento fondamentale della sua vita recente tende a scavare (pericolosamente) nel personale, restituisce una vera dimensione umana del personaggio: tanto più autentica, quanto scaturita proprio da un episodio non programmato. L'organicità mostrata dal documentario, nonostante la mutevolezza del suo progetto, resta il suo punto di forza: con i salti temporali, i disinvolti spostamenti tra passato e presente, tra i palchi degli anni '80 e le platee colme di punk, e la quiete dell'Appennino e del casolare con i cavalli, tra le immagini di un inquieto cantore del disagio urbano e quelle di un eremita sessantenne sui generis, che tuttavia non rinuncia alla musica e alla poesia come veicoli di espressione. L'ottimo lavoro di montaggio assembla tutto in un insieme coerente e "ritmato", che procede di pari passo con le canzoni scelte: anch'esse proposte senza seguire una logica temporale, con le dissonanze rabbiose dei primi anni ad alternarsi ai sussurri, da solo su un palco, del Ferretti più recente.
La visione di Fedele alla Linea non farà probabilmente cambiare idea a chi ritiene Ferretti un "traditore", e d'altronde il suo racconto non cancella gli elementi problematici del percorso fatto, connaturati al personaggio. Alcune scelte (pubbliche) del recente passato, e molte dichiarazioni rilasciate, restano fonte di legittima perplessità. Eppure, lo scorcio aperto sul privato dell'uomo, la sua inedita disponibilità a mettersi a nudo e raccontarsi, non possono che sorprendere e toccare. Se è vero che, per usare le parole di Umberto Eco, le canzoni dei CCCP/CSI sono state spesso oggetto di "decodifica aberrante", lette come puri manifesti militanti e completamente trascurate negli elementi più originali e di ricerca, questo documentario può (in parte) aggiustare la prospettiva: senza negare i punti critici, le contraddizioni, e il legittimo diritto del ricevente (e fan) di far propria la sua versione di un messaggio (e di una canzone). Ma un documentario come questo è espressione anche del diritto del Ferretti-uomo a rappresentarsi di nuovo, a chiarirsi, e a rinnovarsi. La sua arte, e la sua ricerca, restano elementi preziosi e irrinunciabili per la musica e la cultura italiane.

Movieplayer.it

3.0/5