Raffa, la recensione: il primo piano di Raffaella Carrà

La recensione di Raffa: il film di Daniele Luchetti, nelle sale dal 6 al 12 luglio, è la storia di Raffaella Carrà. La storia della sua vita, del suo percorso artistico, la storia di un corpo e di un volto; con luci e ombre, e con un lato inedito della diva.

Raffa, la recensione: il primo piano di Raffaella Carrà

"Vieni qui, più vicino", dice una giovane Raffaella Carrà, ammiccante e maliziosa, alla telecamera che fa uno zoom sempre più stretto sul suo viso, fino ad arrivare a un primo piano. È una scena presa dallo show Ma che sera, del 1978, e diventa un tema ricorrente del documentario che vi raccontiamo nella recensione di Raffa, il film di Daniele Luchetti (scritto da Cristiana Farina con Carlo Altinier, Barbara Boncompagni, Salvatore Coppolino, Salvo Guercio) in arrivo in anteprima nelle sale dal 6 al 12 luglio, a pochi giorni da quello che sarebbe stato l'ottantesimo compleanno della Carrà, nata il 18 giugno del 1943. Raffa è un titolo originale Disney+ prodotto da Fremantle. È la storia della sua vita, del suo percorso artistico, la storia di un corpo e di un volto. "Ogni artista ha la sua misura e la sua è la misura del corpo. Nel primo piano faceva un po' fatica" ricorda di lei all'inizio del film Marco Bellocchio.

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Raffa: una foto d'archivio

Ma più tardi, negli anni Ottanta, con il suo programma Pronto Raffaella, con la regia di Gianni Boncompagni Raffaella diventa un primo piano: il regista entra nel suo volto, che così è il tramite tra tutte le storie che vengono raccontate al telefono e noi che stiamo guardando. È solo una delle tante volte che Raffaella cambia la televisione. Raffa è il film definitivo su Raffaella Carrà, un viaggio dentro la sua arte e la sua vita privata custodita gelosamente. Daniele Luchetti ci mostra luci e ombre, la sua natura di game changer e di icona LGBTQ+, e lega i cambiamenti nella tivù a quelli della Storia. E quella che è stata la regina del piccolo schermo arriva finalmente sul grande schermo. Raffa è un documento imperdibile.

Quella La La Land che è Bellaria, Riviera Romagnola

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Raffa: una foto dell'archivio privato Pelloni

Raffaella è nata sotto il segno dei gemelli, e ha sempre detto di essere stata due persone in una. Raffaella Pelloni e Raffaella Carrà. La storia di entrambe inizia in quella "La La Land" che è Bellaria, Riviera Romagnola, una città dove ballare è normale, dove il ballo liscio è accoglienza e comunità. Il ballo era nel destino, e Raffaella ha mixato il liscio con il pop, il rock, la disco. Ma non è stato facile. Da quell'accademia di danza a Roma, dove prova con la danza classica, ma "aveva le caviglie deboli", al cinema, dove tenta di sfondare senza avere successo, nonostante quel film con Frank Sinatra, Il colonnello Von Ryan, la sua carriera ha avuto diverse battute d'arresto. Sarà un ballo, in tv, in un programma di Gianni Boncompagni, a cambiare tutto. Il programma era Io, Agata e tu, e la lancia verso Canzonissima, lo show del sabato sera, nel 1970: Raffaella Carrà canta la sigla, Ma che musica maestro, con una tuta che le lascia l'ombelico scoperto. La sessualità si sta affacciando in tv, e Raffaella avrebbe cambiato la tv per la prima volta. Sarebbero arrivati poi Ma che sera, Millemilioni, Pronto Raffaella. Ma anche i viaggi all'estero la nascita di una star di livello mondiale.

Raffa: l'iconica Raffaella Carrà raccontata nel docufilm di Daniele Luchetti

Prendo la Carrà e la porto da un'altra parte

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Raffa: una scena del film

"Quando non mi piaccio più, io Pelloni prendo la Carrà e la porto da un'altra parte". È la continua voglia di sfida e di cambiare pelle in continuazione una delle caratteristiche di Raffaella Carrà che escono con forza dal film Raffa. Il caso più clamoroso è quello del 1975. Raffaella Carrà è una star della tv italiana e della discografia: è appena uscita Rumore, che ha intercettato la nascente disco music. E Raffaella decide di "esportare" la Carrà all'estero: arriva alla tv spagnola, apparendo prima in uno spettacolo e poi con 4 serate tutte dedicate a lei, La hora de Raffaella Carrà. Le sue canzoni A far l'amore comincia tu e Fiesta diventano hit mondiali, tradotte in tutte le lingue, e Raffaella comincia a fare dei tour in America Latina e in Messico. Ma cambierà ancora, tornando in Italia con lo show Ma che sera (1978), il primo a colori, con coreografie e costumi che non si erano mai visti. E ancora, nel 1983, mentre la tivù degli anni Ottanta era cambiata e nuove soubrette si erano affacciate sulla scena, quando Raffaella smette di essere showgirl e diventa presentatrice. Con Pronto Raffaella cambia di nuovo il suo stile, cambia di nuovo la tv. Va in onda a mezzogiorno, un terreno vergine per la tv di stato, prova a intercettare il target delle casalinghe che guardavano la televisione. Raffaella era seduta, al telefono. Ma ha inchiodato tutta l'Italia davanti alla tv. Non era più la Carrà, era Raffaella, era il primo piano, il volto attraverso il quale passavano tutte le emozioni degli italiani che chiamavano per confidare debolezze, problemi, paure. Raffa avrebbe cambiato ancora: con Buonasera Raffaella e gli show da New York, con l'arrivo sulle reti Fininvest di Silvio Berlusconi, e di nuovo con la tv spagnola.

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Raffa: una foto dell'archivio storico Giovanni Liverani

La storia della Carrà incontra la Storia

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Raffa: una giovane Raffaella Carrà in una foto

La regia di Daniele Luchetti è il valore aggiunto a una storia già di per sé bellissima. Il regista usa, e porta all'estremo, quel trucco secondo cui gli intervistati non vanno inquadrati solo mentre parlano, ma anche quando riesci a cogliere il non detto. Così Luchetti riesce a fissare lo spaesamento di Fiorello quando ricorda i primi abiti della Carrà, o l'emozione di tutti quando sentono partire le prime note di Rumore. E la commozione degli intervistati, montata nell'intenso finale. È molto attento ad usare alcune canzoni, magari quelle meno note, come "coro" al momento che sta raccontando. È eccezionale per come fa entrare in scena, nel finale del film, quando non te lo aspetteresti, Sergio Japino, in immagini girate di recente, dopo averlo evocato per tutto il film. È come se, all'improvviso, Rebecca la prima moglie di Hitchcock tornasse in scena. È un momento breve, un sorriso, e neanche una parola. Ma, soprattutto, Luchetti è bravissimo a far viaggiare in parallelo la storia di Raffaella Carrà con la Storia con la S maiuscola. E ci racconta come la Carrà fosse sbarcata in Spagna proprio quando stava per finire il franchismo, al momento in cui un Paese intero sta per aprire una finestra e guardare fuori. E come il suo ritorno in Italia, con Ma che sera, fosse coinciso con un momento molto duro della nostra storia, quello degli anni di piombo e del sequestro Moro. E ancora, con le sue canzoni che, a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, nel pieno dell'incubo dell'AIDS, diventano un inno di ottimismo.

Raffaella Carrà: le 10 migliori sigle di un'icona indimenticabile

Sono la bambola con cui non vi hanno permesso di giocare

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Raffa: Raffaella Carrà in una foto

È in quel momento, probabilmente, che Raffaella Carrà diventa ufficialmente un'icona LGBTQ+. Quando a Roma nascono le notti del Muccassassina, un momento in cui la comunità gay voleva uscire di casa, superare l'isolamento a cui le campagne all'era dell'AIDS sembravano volerle condannare. Servivano canzoni fresche, potenti, per creare momenti di gioia e per unire. Raffa ci spiega molto bene perché la diva è diventata un simbolo in questo senso. È stata la prima a dire che era possibile essere diversi, che ognuno di noi è unico. La comunità gay ha preso da lei il coraggio di essere quello che si è, la voglia di proteggere ciò che si è. E di farlo orgogliosamente, e non in maniera vittimistica. "Io sono la bambola con cui non vi hanno permesso di giocare" ha detto una volta Raffaella Carrà. Come commenta Emanuele Crialese, "è come se non fossa stata mai sua, ma di tutti noi".

Raffaella, la bambina abbandonata

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Raffa: un'immagine

La storia di una diva, la storia di un'icona, la storia di un simbolo che ha attraversato e guidato i cambiamenti della società e della tivù. Raffa è tutto questo, ma non solo. È la storia di una bambina che è cresciuta senza il padre e l'ha sempre ricercato, in tutti gli uomini ma in fondo anche in sé stessa. Una bambina cresciuta con una madre rigida, che non ha mai creduto in lei, e della quale ha sempre cercato l'approvazione. C'è tutto questo in una continua ricerca del successo, di sfide, di perfezione (anche a costo di costringere alcuni collaboratori ad allontanarsi da lei). E di uomini, come Gianni Boncompagni, ma in fondo anche Sergio Japino, che colmassero il vuoto lasciato da quella figura paterna. "Avevo bisogno di un uomo che mi spiegasse cos'erano gli uomini" commenta a proposito della sua unione con Boncompagni, di 11 anni più grande. Il suo amore per il programma Carramba che sorpresa, nato nel 1995, sta probabilmente tutto qui. La sua commozione è reale. Raffaella, la bambina abbandonata, si adopera per riunire le famiglie, i padri e i figli. Quella sua ferita, sentiamo dire nel film, è stato il diamante che ha guidato la sua vita e la sua carriera. Raffaella Carrà, che a malincuore non ha avuto figli, ha sempre avuto bisogno di un padre tanto da diventare il padre di se stessa. Alla fine è diventata suo padre come lei lo avrebbe voluto.

Conclusioni

Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Raffa, è il film definitivo su Raffaella Carrà, un viaggio dentro la sua arte e la sua vita privata custodita gelosamente. Daniele Luchetti ci mostra luci e ombre, la sua natura di game changer e di icona LGBTQ+, e lega i cambiamenti nella tivù a quelli della Storia. E quella che è stata la regina del piccolo schermo arriva finalmente sul grande schermo. Raffa è un documento imperdibile.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.9/5

Perché ci piace

  • L'arte e il carisma di Raffaella Carrà.
  • La regia di Daniele Luchetti, che lega la storia di Raffa alla Storia con la S maiuscola.
  • La capacità di legare il pubblico al privato, e svelare una Carrà inedita.

Cosa non va

  • La sensazione che qualcosa sia rimasto fuori e ci si sia dilungati su alcune cose: ma sono dettagli.