Pelé al cinema: se la rovesciata in Fuga per la Vittoria è pura ribellione

O Rei non c'è più. Ma se ogni leggenda è immortale, l'eredità di Pelé è più viva che mai. E lo testimonia la sua rovesciata nel cult Fuga per la Vittoria. Una rovesciata spettacolare, sovversiva e rivoluzionaria. Capace di annichilire il male più assoluto.

Pelé al cinema: se la rovesciata in Fuga per la Vittoria è pura ribellione

Calciatore del Secolo per la FIFA, Pallone d'Oro del Secolo, 1281 reti su 1363 partite giocate (provateci voi a battere il record), Tesoro Nazionale per il Brasile e ben tre Coppe del Mondo vinte. Svezia 1958, Cile 1962, Messico 1970. Edson Arantes do Nascimento, o più semplicemente Pelé, non ha solo scritto un almanacco calcistico, ma è divenuto una delle più grandi icone sportive e popolari, rappresentando la fantasia al servizio del coraggio. Il coraggio di superare una dimensione complicata (nacque tra le favelas di San Paolo) e il coraggio di guardare in faccia il suo destino, colorato di verde e di oro, sulle tracce di un Mondiale vinto grazie al suo rivoluzionario modo di intendere il calcio e la vita, tra lo joga bonito, the beautiful game, i sorrisi, il buon umore.

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Pelé in un'immagine

Ma, in questo dolce ricordo, che vorrebbe celebrare la sua figura nel giorno più triste, ci torna in mente un altro frammento dell'incredibile viaggio di Edison (come Thomas Alva) alias Pelé. Quale? Una rovesciata talmente iconica, talmente prepotente, talmente galattica che fece applaudire (addirittura) il lato sbagliato dell'umanità rappresentato dall'ufficiale nazista Von Steiner, interpretato da Max von Sydow. Chiaro, il passaggio è immaginario e si parla di cinema, ma se l'aurea è immortale, la sua presenza in Fuga per la Vittoria oggi acquisisce tutto un altro significato. Perché poi è sempre e soltanto una questione di eredità. E quella di Pelé è gigantesca.

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Inseguendo la libertà

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Pelé in un'immagine

Ci ha fatto strabuzzare gli occhi, là in mezzo, tra Sylvester Stallone e Michael Caine, quell'omino alto un metro e settanta e con la voce profonda, da solo in mezzo all'inferno di un campo di concentramento per prigionieri Alleati. Quel film, divenuto cult ed emblema del profondo rapporto tra il cinema e lo sport (un film anche imperfetto, ma poco importa quando si tirano in ballo le emozioni primarie), prese libera ispirazione dalla famosa partita della morte, tenutasi a Kiev nell'agosto del 1942. Da una parte una squadra mista tra calciatori della Dynamo e della Lokomotiv, dall'altra una un team del male composto da ufficiali della Lufwaffe.

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Pelé in un'immagine

A dirigere la pellicola, John Huston che affrontò una sfida tutt'altro che semplice: mettere insieme un cast di attori professionisti a stelle del calcio, tra cui Van Himst, Aardiles, Deyna. Oltre allo stesso Pelè, che invitò l'amico Werner Roth (americano per naturalizzazione) a prendere parte al film. Un mix pazzesco, un film che "inseguiva la libertà", marcando il netto confine tra Bene e Male. A metà strada, in una lezione di cinema dalla forte personalità, una match entrato nell'immaginario collettivo: azioni, istinto, lungimiranza. Una lotta per la sopravvivenza sulle note de La Marsigliese, rigore su rigore, gol dopo gol.

Una rovesciata sovversiva

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Pelé in un'immagine

Un film, Fuga per la vittoria, che si fonde con il nostro ricordo di spettatori e con la passione istintiva che abbiamo nei confronti del calcio: struttura semplice, immediatezza, l'epica alimentata dallo score di Bill Conti, mentre sale la tensione per una partita che sa di vita e sa di morte. Due schieramenti, due ideologie, il mondo libero e la tirannia. Una all star di underdog e un ritmo forsennato, le divise bianche contro quelle nere, il cinema che si lascia trasportare dalla pancia e mai dalla testa, intanto che John Huston sposta vorticosamente la macchina da presa fermandola in un rallenty infinito.

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Pelé in un'immagine

Ragiona, muove la palla, il sole picchia forte, i nazisti stanno vincendo. Quale potrebbe essere il gesto sovversivo in grado di annichilire e mortificare il nemico? Eccola: Bobby Moore, nazionale inglese, calibra alla perfezione un cross che finisce al centro dell'area di rigore. Chi c'è? Lui, O Rei do Futebol. Pelé ferma il tempo, si avvinghia su sé stesso in un salto carpiato, sfoggiando il gesto calcistico per eccellenza che, in un secondo, viene traslato in cinema dallo spirito fenomenale. Gol. Quattro a quattro. Nulla è perduto. La vittoria è dietro l'angolo, la storia sta per essere (ri)scritta da un giocatore divenuto, per un attimo, anche un attore. Resta il sogno, resta lo splendore, resta la rivoluzione di una rovesciata fiabesca in faccia all'arroganza e al predominio. Ennesimo tassello di un patrimonio leggendario.

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