Parlami di te, la recensione: Fabrice Luchini rimane senza parole

La recensione di Parlami di te, commedia francese con Fabrice Luchini: una storia di redenzione fin troppo convenzionale.

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Parlami di te: Fabrice Luchini, Leïla Bekhti in una scena

Tutto nasce da un articolo di Le Monde sull'ex manager di Airbus, Christian Streiff, colpito da un ictus nel 2008 e costretto a nascondere la sua malattia per diversi mesi prima di farsi licenziare nel giro di due ore.
È lo spunto per una storia che Hervé Mimran ha trasformato in un film con Fabrice Luchini in uscita in sala dal 21 febbraio. In questa occasione Mimran ritrova quella che è diventata la sua attrice feticcio, Leïla Bekhti, e si muove nella comfort zone della commedia francese dai toni agrodolci di cui vi parleremo in questa recensione di Parlami di te.
Per il regista inoltre, si tratta della prima traversata in solitaria dopo la collaborazione a quattro mani con Géraldine Nakache, per anni fedele collaboratrice con la quale ha scritto e diretto i precedenti Tout ce qui brille e Nous York.

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Trama da comedie française e personaggi convenzionali

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Parlami di te: un primo piano di Fabrice Luchini

Se il titolo italiano Parlami di te può essere fuorviante, non lo è la storia del film: una trama semplice e lineare adagiata (forse troppo) sui binari consolidati della parabola di caduta e rinascita del protagonista principale, Alain, brillante oratore e magnate dell'industria automobilistica, che Hervé Mimran affida alle capacità interpretative di Fabrice Luchini, vero mattatore per quasi un'ora e mezza.
Un personaggio che in scrittura non si presta a sfumature: è il classico capitano d'industria sempre di corsa, con pochi momenti di verità, una vita scandita da meeting aziendali, convention e numeri, e rapporti familiari ridotti a zero, soprattutto quello con la giovane figlia (Rebecca Marder). Niente distrazioni, solo una routine a ritmo di appuntamenti, almeno fino al giorno in cui viene colpito da un ictus che gli causerà una grave afasia e una perdita di memoria.

Da quel momento le sue priorità cambieranno, complice la giovane logopedista Jeanne (Leïla Bekhti), alla quale si affida per recuperare le proprie capacità linguistiche. Sarà il tempo della ricostruzione per entrambi: il primo nel tentativo di fare ordine nella propria vita e la seconda alla ricerca della propria madre biologica. I duetti costruiti su contrasti e complicità tra i loro personaggi, regalano alcuni dei momenti più divertenti e vivi della storia.
Le vicende ricalcano un pattern narrativo già visto, che una regia creativa avrebbe potuto rinnovare, peccato invece che il racconto finisca per non oltrepassare la zona sicura del convenzionale cammino di redenzione con tanto di lenta e prevedibile riscoperta di sé e dei rapporti umani.

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Fabrice Luchini, mattatore in un cast che salva il film

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Parlami di te: una scena con Fabrice Luchini

A non finire nel tritacarne della prevedibilità è invece Fabrice Luchini, grande attore di parola, che qui paradossalmente avrà ben poco da declamare e al quale il regista affida la riuscita dell'intero film. Il suo personaggio riunisce comicità e tenerezza: prima logorroico, cinico e instancabile manager ("Mi riposerò quando sarò morto"), poi uomo colto nella fragilità della malattia. Nella seconda parte di Parlami di te Luchini fa il miracolo: lo vedremo sfarfallare, lanciarsi in giochi verbali e corse in sedia a rotelle, dando fiato a tutte le sue corde comiche, oppure addormentarsi sfinito sulle note di As time goes by in Casablanca.

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Parlami di te: Fabrice Luchini, Rebecca Marder in una scena

Il resto del cast non si esime dalla missione salvifica. Menzione speciale per l'interprete della stravagante domestica (Clémence Massart), quasi sempre impegnata in discutibili imprese culinarie ai danni di pennuti e quadrupedi d'ogni sorta. La giovane Rebecca Marder è una piacevole rivelazione, perfetta nel declinare l'aspetto meno leggero del film che corre veloce verso un finale risolto con tono consolatorio e facile sentimentalismo.

Movieplayer.it

2.5/5