Michele Riondino, Palazzina LAF e la classe operaia che non va in paradiso

"Nel mio film c'è una critica alla classe operaia che ha perso la sua coscienza". La nostra intervista a Michele Riondino, che ci ha raccontato la sua opera prima: Palazzina LAF.

Michele Riondino, Palazzina LAF e la classe operaia che non va in paradiso

"Il cinema serve anche come monito. Bisogna evitare che certi avvenimenti si ripetano". Nelle parole di Michele Riondino si percepisce tutta la passione e tutta la voglia di un attore che, spinto dalla necessità artistica e sociale, è saltato dall'altra parte, sedendosi sulla poltrona del regista. Un debutto, lo abbiamo detto nella recensione (che potete leggere qui), decisamente riuscito nel suo sentimento cinematografico e politico: Palazzina LAF, infatti, è "la storia di uno dei più famigerati "reparti lager" del sistema industriale italiano, di un caso giudiziario che ha fatto scuola nella giurisprudenza del lavoro".

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Michele Riondino sul set di Palazzina LAF

Siamo nella Taranto del 1997, e Caterino, interpretato dallo stesso Michele Riondino, uno dei tanti operai dell'ILVA, viene scelto dalla dirigenza per essere un "canarino". Ovvero, riporta i malumori degli operai per poi denunciarli. Sprovveduto, Caterino, definito dal regista "carnefice di se stesso", finisce poi nel reparto LAF, dove venivano spediti i dipendenti da punire. Le mansioni? Nessuna. Passare il turno di lavoro senza fare nulla, e quindi venir sviliti e umiliati come operai e come uomini. "I fatti che racconto sono frutto di interviste e ricerche, ho parlato con gli ex confinati", prosegue Riondino. "Il finale si basa poi sulle carte processuali. Palazzina LAF è un affresco sociale, e non intende raccontare cosa sia diventata oggi l'ILVA di Taranto".

Palazzina LAF: intervista a Michele Riondino

Oltre la storia vera dietro al film, ciò che colpisce di più di Palazzina LAF, è il tono utilizzato da Michele Riondino, che grazie ad un'estetica dai toni ruggine enfatizza un clima senza leggi né regole, simile ad un far west. "C'era una mancanza di regole. Un far west, era questa l'atmosfera che si viveva in quegli anni", spiega Michele Riondino a Movieplayer.it.

E prosegue: "Il più forte cercava di schiacciare il più debole. In questo senso il film rispetta questi ruoli, e Caterino sviluppa una coscienza e un'idea lungo la storia, ma è così privo di elementi intellettuali che alla fine del film decide di schierarsi dalla parte del forte, invece che ammettere di essere vittima. Si schiera con i carnefici. E in questo c'è la mia critica verso la classe operaia, verso chi dovrebbe essere orgoglioso di appartenere a questa classe. Verso quella classe operaia che non è andata in paradiso, ma è morta e ha perso coscienza. Preferendo difendere l'azienda che schiaccia i suoi diritti. Caterino è carnefice di se stesso".

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Il cinema, e l'arte che tornare ad essere popolare

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Palazzina LAF: Michele Riondino in una sequenza

Ma se Palazzina LAF, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023, tratta il tema del lavoro, come giudica Michele Riondino lo stato attuale della nostra industria audiovisiva? _"Credo che non si sia ben lucidi nell'analisi economiche rispetto all'industria dell'arte. Un'industria fondamentale per un paese come l'Italia. Dovremmo essere tra i primi ad utilizzare l'arte come volano economico. E invece... è assurdo che si consideri l'arte come un orpello della nostra cognizione di vita, o un dettaglio per l'élite... beh, l'arte dovrebbe tornare ad essere di uso popolare, e dovrebbe essere consumata da tutti, in ogni forma, restando accessibile.