Diodato, La mia terra e la musica (al cinema) come responsabilità artistica e civile

"Un mio film da regista? Per ora solo una fascinazione!": la nostra intervista a Diodato che con il brano La mia terra, per Palazzina LAF di Michele Riondinio, ha ottenuto la terza candidatura ai David di Donatello.

Diodato, La mia terra e la musica (al cinema) come responsabilità artistica e civile

Un veloce check all'inquadratura, uno scambio di saluti, ed eccoci faccia a faccia (seppur virtualmente) con Diodato. L'occasione è di quelle tanto cinematografiche quanto musicali: cinque album in studio, un festival di Sanremo vinto e, nel giro di pochi anni, ben tre candidature ricevute ai David di Donatello (vincendo nel 2020, con il brano Che vita meravigliosa per il film La dea fortuna di Ferzan Ozpetek), compresa quella appena arrivata per La mia terra, canzone originale composta per Palazzina LAF, esordio alla regia di quel Michele Riondino, che Diodato definisce come "un fratello". Sangue tarantino per entrambi, con il cantautore che ha saputo dare ulteriore tridimensionalità ad una "storia di coraggio e resistenza".

Nella nostra intervista, Diodato spiega infatti che "Noi tarantini combattiamo una battaglia quotidiana", e comporre il brano è stato "Qualcosa di molto significativo". La traccia, una dolente e amara dichiarazione d'amore alla propria, che gioca sui contrasti - "un campo minato su cui crescono fiori bellissimi" - animati dalle sonorità pugliesi, rispecchia in pieno la visione cinematografica di Michele Riondino, che con Palazzina LAF ha (ri)costruito un cosmo ben preciso, portando in risalto una storia vera di abusi e soprusi lavorativi. Come detto, il rapporto tra Diodato e Michele Riondino va oltre l'amicizia: insieme a Roy Paci sono direttori artistici dell'Uno Maggio Taranto Libero e Pensante, e da sempre tengono in piedi una lotta per garantire un futuro migliore alla città di Taranto, raccontandola attraverso il potere del cinema e della musica.

Diodato: la nostra intervista

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Michele Riondino sul set di Palazzina LAF

Terza candidatura ai David: il tuo rapporto con il cinema si fa sempre più forte.

Una grande passione, da quando sono bambino. Poi ho approfondito con gli studi, ma ho un approccio istintivo, anche quando ci lavoro. Sono onorato di questa candidatura, è molto significativa e particolare, perché arriva con un brano che mi ha permesso di raccontare pienamente il rapporto d'amore con la mia terra, soffermandomi anche su quella battaglia interiore che io, come tanti Tarantini, combattiamo giornalmente. E sono molto contento perché il brano è legato poi ad un progetto, come Palazzina LAF di Michele Riondino, un fratello con cui combatto fianco a fianco da tanti anni. Siamo entrambi Tarantini. E quindi è veramente qualcosa di molto significativo per me.

Sei un esperto di cinema, e ti chiedo: Palazzina LAF mi ha fatto pensare ad un film western. Sei d'accordo?

È interessante questa lettura, non ci avevo pensato, ma capisco le motivazioni che possono portare a dire una cosa di questo tipo. Nel film c'è un terreno arido, in qualche modo, che viene raccontato. All'interno del film, man mano, si va verso sempre un un'essenzialità sempre maggiore, e in qualche modo tutto si impoverisce. Il racconto porta proprio a sottolineare una sconfitta generale di tutti, no? È una povertà interiore ed esteriore che mette i brividi.

C'è un approccio molto pop, tra l'altro.

Sì, per quanto poi il film abbia una chiave nel racconto pazzesca e intelligentissima, c'è un'ironia e una delicatezza: Michele lo conosco molto bene e so quanto ci tiene quando si parla di argomenti che il film affronta, come l'inquinamento, lo sfruttamento che la nostra terra ha subito in questi decenni e di ciò che i Tarantini hanno dovuto affrontare, e di ciò che la classe operaia ha dovuto affrontare. Ci pone davanti scelte a cui gli esseri umani che hanno vissuto quella realtà devono combattere giornalmente, che sono inaccettabili per un paese civile. E quindi mi immaginavo da parte suo un film molto più improntato su quell'argomento lì.

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Elio Germano e Michele Riondino, una scena di Palazzina LAF

E invece?

Invece secondo me, è stato bravissimo a raccontare un caso in particolare, che è un caso assurdo, e mettere degli indizi all'interno di questo territorio filmico che in qualche modo ti facevano pensare alla città di Taranto senza nominare però la città di Taranto. Senza nominare la questione dell'ILVA. Lo fa senza mai realmente nominare quella situazione, e ciò che paghiamo da tanti anni con malattie e situazioni molto gravi che dobbiamo affrontare e che dovranno affrontare anche le generazioni future, purtroppo.

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Quando hai lavorato sul brano? Durante la produzione o successivamente?

Quando ho saputo che Michele avrebbe fatto un film glielo ho proprio detto chiaramente: 'devo fare la canzone!' Ma perché ci è venuto in maniera molto naturale, poi siamo veramente fratelli, quindi mi sono permesso di candidarmi. E mi ha spiegato un po' di cosa avrebbe parlato il film, però non ho voluto vedere nulla. Conoscevo la storia, conoscevo le sceneggiature, però mi muovevo sempre di più provando a trovare dei punti di contatto con il mio vissuto. Ovviamente in questo caso dei punti di contatto ce n'erano tantissimi e ripeto, per me questa era l'occasione per mettermi anche spalle al muro. Dovevo in qualche modo parlare della mia terra, dei dei contrasti interiori che vivo. In qualche modo, ho portato le suggestioni che Michele mi ha dato, ma che mi dà da anni. Quando glielo ho fatto ascoltare, lui mi ha detto: 'è perfetta'.

Quando hai visto il film?

Ho visto il film solo dopo. Perché mi piace poi vivere l'esperienza dello spettatore. Sono uno spettatore a cui piace immedesimarsi. Vado al cinema spesso da solo perché non sei solo mai in un cinema. Amo entrare e diventare parte di quei personaggi.

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Michele Riondino fa parte di un gruppo di interpreti passati alla regia. Come mai c'è questa tendenza, oggi?

Mi sembra una cosa abbastanza naturale, no? Nel senso, immagino il lavoro che un attore fa per tanti, tanti anni, anche in relazione alle difficoltà che incontra. A volte, si scontra anche con l'impossibilità di farlo, questo lavoro, perché magari possono esserci dei registi che non accettano un certo tipo di consiglio o di visione alternativa ciò che è stato già definito. E poi la volontà di raccontare una storia. Tutto questo mi sembra può portare in modo naturale un attore a fare il regista. Michele tra l'altro è sia davanti che dietro la macchina da presa: è un lavoro complesso, dovendo badare alla regia ma anche alla tua interpretazione. Lo stesso Michele mi ha confermato quanto sia stato difficile da questo punto di vista.

E tu, quando debutterai alla regia?

Non lo so, mi piacerebbe perché comunque nella mia scrittura vado molto per immagini, e mi piace pensare che chi ascolta le mie canzoni in qualche modo possa vedere... qualcosa. E quindi anche l'idea di provare a raccontare direttamente con delle immagini direttamente, mi affascina parecchio. Però, per ora è solo una fascinazione, appunto, e non ho da fare annunci da fare... mettiamola così!