Recensione Heaven (2002)

Quando due vite s'incontrano in modo inimmaginabile, il paradiso non può più attendere. Meglio volare in alto, dunque. Fino a scomparire nella "virtualità" dell'adattamento di un incompiuto progetto kieslowskiano.

Non si può volare così alto

Recensire un film del genere non è facile. Come impossibile è separare i meriti dai demeriti di Heaven. La sceneggiatura è tratta dal primo episodio di una trilogia (Paradiso, Purgatorio e Inferno) scritta da Krzysztof Kieslowski (insieme all'immancabile Krzysztof Piesiewicz) e rimasta incompleta per l'improvvisa morte del grande regista polacco.
L'ombra di Kieslowski, inevitabilmente, pesa come un macigno e per Tom Tykwer diventa impossibile scrollarsela di dosso. La lezione di Kieslowski è accolta dal regista tedesco con tono forse troppo deferente, cercando di lasciarla al margine senza riuscirci. Ecco, quindi, una Torino che nelle sue geometrie, nella sua glacialità e nella sua implacabile anonimità, allude alla Varsavia de Il Decalogo. Ecco ancora due protagonisti che sono continuamente oggetto delle morbose attenzioni della macchina da presa, tra sguardi che s'incrociano, mani che si toccano e il tentativo di configurare un'espressività estrema e repressa (insieme con una violenza fisica e verbale dei tutori della giustizia che scimmiotta palesemente l'apologo di Breve film sull'uccidere). Ed ecco, infine, anche una trama che rivela lentamente tutti i suoi significati, traccia dopo traccia, fino a far annodare automaticamente tutti i fili.

Ma Heaven (purtroppo, ci verrebbe da dire) è un film di Tykwer e non di Kieslowski. Il regista di Lola corre, dopo aver cercato affannosamente di eludere il modello kieslowskiano, ne rimane imprigionato omaggiandolo con ripetuti preziosismi stilistici vacui e manierati, oltre che con accenni fuorvianti al thriller più scontato. Per il regista tedesco sarebbe stato meglio affrontare la sceneggiatura di Heaven con maggiore presunzione e più personalità, come dinanzi ad uno script originale e poco ingombrante dal punto di vista dell'eredità artistica. Queste sembrano parole molto dure nei confronti di un film che pur riserva momenti intensi. Il tutto, però, sembra troppo approssimativo perché ci faccia soppesare le critiche (a ciò si aggiunga l'infelice scelta, per il pubblico italiano, di far recitare Giovanni Ribisi senza doppiaggio).

Heaven, in ogni caso, ci piace quando Tykwer muove la macchina da presa, quasi con cipiglio documentaristico, tra gli incantati paesaggi mediterranei, giocando con l'immaginario del Bel Paese (i due amanti che attraversano i paesaggi, anche interiori, della natura italiana ricordano, ma solo per sommi capi, gli splendidi, ed inarrivabili, tableaux vivants "creati" da Takeshi Kitano in Dolls). E ci piace ancor di più quando il cielo virtuale della simulazione iniziale combacia, nel finale, con quello reale che fa scomparire definitivamente i due protagonisti, volati in alto sull'elicottero sgraffignato in modo troppo semplicistico al piccolo esercito di carabinieri arrivato sul posto per catturare i fuggiaschi. La macchina da presa resta immobile ad osservare quell'elicottero che sale sempre più su, fino ad essere risucchiato completamente nel nulla di un celestiale balzo nell'aldilà che, sembra suggerirci Tykwer, è più virtuale di quello dell'inizio. Anche perché, per rispondere alla domanda posta all'inizio da Filippo, non si può volare tanto alto: occorre tenere saldamente i piedi piantati in terra quando ci si deve confrontare con l'opera, compiuta o incompiuta, di uno degli abitanti dell'empireo cinematografico di nome Krzysztof Kieslowski.