Recensione Diario di uno scandalo (2006)

Diario di uno scandalo si dimostra una rivelazione assolutamente inaspettata, un dramma sentito e equilibrato che racconta un noto fatto di cronaca con intensità e senza ipocrisia, tenendosi ben distante dalla retorica e dagli intenti pedagogici

Metodologia di uno scandalo

Il pregiudizio orienta, anche se spesso acceca. Ma il pregiudizio - anche se si dovrebbe parlare di cattiva predisposizione - permette anche di gettare le basi per sorprendersi. Ed ecco che Diario di uno scandalo si dimostra una rivelazione assolutamente inaspettata, un dramma sentito e equilibrato che racconta un noto fatto di cronaca con intensità e senza ipocrisia, tenendosi ben distante dalla retorica e dagli intenti pedagogici. Se la derivazione originaria dello script è la realtà nuda e cruda, il riferimento diretto del film è il libro La nota dello scandalo, in cui la giornalista Zoe Heller descriveva on arguzia e sarcasmo la storia d'amore tra la nota insegnante quarantenne Sheba Hart e il suo allievo minorenne, attraverso lo sguardo di Barbara Covett, amica possessiva e morbosa di Sheba.

Il primo evidente pregio del film di Richard Eyre sta nell'aver colto il vero valore del libro della Heller. Più che concentrarsi sull'adattamento pedissequo, Diario di uno scandalo coglie la sostanza del discorso, mantenendone intatta la carica trasgressiva, proprio perché non mostra niente e rifugge qualsiasi strada facile. Non si perde nel racconto didascalico dei fatti, nè nel giustificazionismo passionale o quantomeno nella descrizione del tragico cannibalismo che alimenta la speculazione mediatica. Diario di uno scandalo mette il dito nella strutturale inadeguatezza normativa, nell'incapacità del Diritto di saper operare adeguate distinzioni, nel moralismo e nel manicheismo dei nostri tempi, nell'impossibilità di esprimere pianamente sé stessi. E in questo contesto traccia due figure umane di grande spessore, avvalendosi di due interpretazioni sbalorditive (Judi Dench è cattiva, morbosa e pungente da far star male, Cate Blanchett se è possibile è ancora più brava, tanto è naturale la sua aderenza al personaggio).

Il film di Eyre non si perde in speculazioni sociologiche. Inutile interrogarsi sulla percezione pubblica dello "scandalo", sulla necessità collettiva di puntare il dito. Siamo cosi e funzioniamo così purtroppo; indulgenti con noi stessi, forcaioli con il prossimo. Meglio quindi interrogarsi su ciò che attiva il nostro lato emotivo più profondo, per comprendere l'eterna ingenuità dei sentimenti, al loro inattuabilità normativa e morale. Attraverso l'illustrazione candida e senza forzature, il film riesce a farci porre le domande giuste e a mettere in discussioni le anguste convenzioni sociali su cui si fonda il nostro vivere comune. Rivelazione.