Recensione Lucky: l'insostenibile leggerezza dell'essere vivo

Recensione di Lucky:. pellicola indie che è un omaggio al grande caratterista Harry Dean Stanton, qui protagonista assoluto.

Poesia è una tartaruga che attraversa il deserto scivolando tra le rocce e la polvere con placida tenacia, come se avesse davanti a sé tutto il tempo del mondo. Quello che l'uomo non ha. Neppure il coriaceo Lucky. Al suo debutto dietro la macchina da presa John Carroll Lynch centra il bersaglio realizzando una storia piccola, ma potente. Una lucida riflessione sulla caducità umana e sulla presa di coscienza della natura mortale di ogni individuo. Lucky, interpretato da Harry Dean Stanton, è un novantenne metodico e abitudinario, avvezzo alla solitudine, che vive in una casetta ai margini di una cittadina nel deserto. Ogni mattina si alza alla stessa ora e compie i soliti rituali. Per conservare una buona forma fisica esegue i cinque tibetani, sequenza di esercizi tipici della pratica yoga che conterrebbe il segreto dell'eterna giovinezza. Finché una mattina un improvviso mancamento innesca una serie di riflessioni sulla sua mortalità.

Lucky: Harry Dean Stanton in una scena
Lucky: Harry Dean Stanton in una scena

A molti il nome di John Carroll Lynch non dirà niente, ma il suo volto di inconfondibile caratterista del grande e piccolo schermo è noto a tutti. E per il suo debutto, Lynch ha deciso di confezionare un commosso tributo al caratterista più grande di tutti, il veterano Harry Dean Stanton, cuore e anima della pellicola, scomparso a pochi mesi dalla fine delle riprese. Il film inizia e finisce con lui. Nei panni di Lucky, il novantenne Stanton è presente in ogni scena e pur avendo all'attivo oltre 200 film, stavolta il suo talento puro brilla come l'oro in un'opera cucita su misura per lui. Su richiesta di John Carroll Lynch, Stanton si mette a nudo mostrando la pelle rugosa, il corpo scheletrico e dinoccolato, il volto segnato dal tempo che passa. L'attore mette al servizio se stesso, la propria età e la propria interiorità in quella che è al tempo stesso opera intima e riflessione universale.

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Si ride e si piange nel deserto

Lucky: un primo piano di Harry Dean Stanton
Lucky: un primo piano di Harry Dean Stanton

Tale è la voglia di John Carroll Lynch di far aderire il film all'anziano Harry Dean Stanton da usare la vera casa dell'attore per le riprese per permettergli di restare nel suo habitat e mantenere intatta la sua routine. E per gran parte del film ciò a cui assistiamo è la ripetizione dei riti di un anziano: ginnastica, toilette, colazione, quiz televisivi, il tutto accompagnato da una buona dose di tabacco. Lynch fotografa la giornata tipo di Lucky con un misto di tenerezza e malinconia, sottolineandone l'abitudinarietà che lo porta a fare ogni giorno gli stessi giri muovendosi a piedi per la sonnacchiosa e desertica cittadina i cui abitanti sembrano tutti afflitti dalla stessa malattia, la solitudine. Lucky è circondato da volti che vede tutti i giorni, negozianti, amici del roadhouse in cui si reca a bere ogni sera, eppure quando chiude le porte della sua casetta non c'è nessuno a condividere con lui lo scorrere delle ore e quando la fortuna che lo accompagna (nomen omen) si incrina per via della caduta, l'uomo comincia a sentire il peso dell'assenza.

Lucky: David Lynch discute con Harry Dean Stanton
Lucky: David Lynch discute con Harry Dean Stanton

Lucky si profila come una commedia per poi svelare ben presto il suo lato introspettivo. Come ci tiene a sottolineare il suo autore, il film non è una riflessione sulla morte bensì sulla vita. Così elucubrazioni di insospettabile profondità vengono messe in bocca a personaggi buffi, teneri, surreali, che si pongono sul cammino di Lucky. A cominciare dal suo migliore amico, Howard, interpretato dal regista David Lynch. Lynch (nessuna parentela con John Carroll) ha diretto Stanton in numerose occasioni, ultimo l'acclamato revival de I segreti di Twin Peaks, ma stavolta i due si trovano entrambi davanti alla macchina da presa nei panni di due anziani compagni di bevute. Nel corso del film Howard appare angosciato per via della scomparsa della sua testuggine, Presidente Roosevelt. La testuggine in fuga fungerà da simulacro di una profonda riflessione sulla transitorietà dell'esistenza umana di fronte alla longevità dell'animale, simbolo di resilienza. "Ci sono delle cose nella vita che sono più grandi di tutti noi e la testuggine è una di esse" chiosa Lynch in uno dei suoi monologhi.

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Una storia, mille storie

Lucky: un primo piano di Harry Dean Stanton
Lucky: un primo piano di Harry Dean Stanton

Lucky è un'opera prima, ma di un veterano della recitazione che dimostra di possedere una una rara sensibilità espressiva. John Carroll Lynch dirige con estrema cura un film piccolo e prezioso di cui è anche autore insieme a Logan Sparks e Drago Sumonja. L'anima indie del progetto si accompagna a una regia controllata e accurata, dove ogni dettaglio rappresenta un pezzo di storia di un monumento di Hollywood e dell'America stessa. Al di là dell'ammirevole asciuttezza, la presenza di Harry Dean Stanton rappresenta un vero e proprio omaggio alla storia del cinema. Il passo dinoccolato con cui Lucky deambula su e giù nel deserto è lo stesso con cui il veterano Stanton ha attraversato le pellicole di David Lynch, Francis Ford Coppola, Sam Peckinpah, John Carpenter, Wim Wenders. Ma il film è anche un tributo alle cittadine dell'entroterra degli USA e alle comunità che li abitano e che rappresentano il genuino tessuto sociale americano.

Lucky: Harry Dean Stanton in un momento del film
Lucky: Harry Dean Stanton in un momento del film

Lucky è uno di loro. Scontroso, abitudinario, ma anche sincero e disarmante. All'assicuratore che prova, nonostante tutto, a instaurare una conversazione rispende seccamente: "C'è solo una cosa peggiore di un silenzio imbarazzato, le chiacchiere inutili". L'anziano non è certo un santo, ma una persona vera mostrata in quel frangente in cui il muro eretto per proteggersi dalle delusioni si incrina e la vita entra dalla breccia. Di fronte alla presa di coscienza che prima o poi tutto cambia, che nessuno è eterno, perfino Lucky ammette di avere paura. Paura di morire da solo, come ha vissuto da solo. A sottolineare il suo stato d'animo ci pensa, in una delle scene più struggenti, la voce ruvida e profonda di Johnny Cash che sussurra And then I see a darkness, mentre un brivido corre lungo la schiena.

Movieplayer.it

4.0/5