Recensione Les choristes - I ragazzi del coro (2004)

Barratier è bravo, grazie a una sceneggiatura asciutta e mai pomposa, a tenersi quasi sempre alla larga da facili sentimentalismi.

Liberazione in sette note

Una chiave per vincere la diffidenza dei ragazzi "difficili". Uno strumento, in questo caso la musica, per togliere loro la corazza naturalmente eretta per difendersi da metodi di educazione repressivi e infelici. E' vero, sono temi già visti e sviluppati al cinema, e non una volta sola. Ma nonostante la continua sensazione di déja vu che il film candidato all'Oscar per la Francia emana a ogni fotogramma, la pellicola funziona, commuove e rende sinceramente partecipi, segno che l'opera di Christophe Barratier riesce a centrare i suoi obiettivi.

La vicenda viene vissuta attraverso i ricordi di due uomini, ormai in età avanzata, che rammentano la loro infanzia del dopoguerra passata in un collegio dai metodi repressivi. Già il nome dell'istituto, "Il fondo dello stagno", è tutto un programma. Un programma che si concretizza nei maniacali e rudi metodi del direttore Rachin (Francois Berléand), deciso a mantenere l'ordine e a spegnere qualsiasi focolaio di vita nell'istituto. Ma al collegio viene assunto come sorvegliante Clément Mathieu (un ottimo Gérard Jugnot), musicista senza lavoro. I ragazzi all'inizio erigono lo stesso muro che usano contro tutti gli altri adulti, ma proprio la passione per la musica di Mathieu sarà lo strumento per scardinare la loro insofferenza ed entrare nel loro cuore.
La formazione di un coro, dove ogni ruolo sarà accuratamente scelto in base alle doti degli allievi e dove ognuno sarà valorizzato nel modo più opportuno, sarà dunque il percorso di liberazione per i ragazzi.

Barratier, al suo primo lungometraggio e autore anche dello script insieme a Philippe Lopes-Curval, è bravo, grazie a una sceneggiatura asciutta e mai pomposa, a tenersi quasi sempre alla larga da facili sentimentalismi. Questo non vuol dire che il film sia privo di difetti: la resa di certi personaggi a tratti è un po' troppo macchiettistica, quella del direttore cattivo su tutte. A Barratier vanno anche rimproverati un pizzico di zucchero in eccesso e alcuni troppo repentini e poco smussati cambi di atteggiamento nei personaggi. Ma gli va riconosciuto che una dose di dolce era inevitabile partendo da una basa così amara.

E comunque sono tutte imperfezioni che scivolano via, travolte da una solida storia nella quale l'amore per l'arte ha il potere di trasformare la dura realtà. E nel gustoso cocktail vanno aggiunti la magia delle musiche, una fotografia azzeccata, quella vocina solista di Pierre Morhange (interpretato da Jean-Baptiste Maunier) particolarmente ispirata e le genuine interpretazioni dei ragazzi.
Senza trascurare la conferma di come a volte, la persona giusta incrociata per caso durante l'esistenza, possa realmente cambiare la vita e il futuro di ciascuno di noi. O quantomeno darci una vera opportunità per farlo.

Movieplayer.it

3.0/5