Recensione Una notte da leoni (2009)

L'esilarante commedia di Todd Phillips riesce a rinnovare uno spunto ormai abusato come quello della "notte brava a Las Vegas" giocando sull'assurdità delle situazioni comiche e prediligendo uno stile di racconto sofisticato.

Le conseguenze dell'Hangover

Sin City, la Città del peccato, ma anche la Città che non dorme mai e la Metropoli dalle mille luci. Las Vegas ha molti soprannomi, e forse questo è già un indice del valore simbolico e quasi mitico che la Capitale del gioco d'azzardo ha finito con l'assumere nell'immaginario collettivo, ormai non solo americano. Il cinema, dal canto suo, ha da sempre fatto la sua parte nell'esaltare ancor di più l'aura immaginifica della cittadina del Nevada, fino a tramutarla quasi in uno spazio fantastico e astratto, metafora del ribaltamento dei valori e del sovvertimento delle convenzioni sociali. Un Paese della Cuccagna in cui è possibile soddisfare ogni prurito, incuranti del rispetto di norme e divieti morali; un "non-luogo" in cui ci si lascia alle spalle la propria identità e il proprio passato. Non è un caso che Hunter S. Thompson decida di ambientare il suo delirante e lisergico romanzo proprio a Las Vegas. Pur senza la portata eversiva e anarchica del film di Terry Gilliam, anche Una notte da Leoni è intriso di un'atmosfera vagamente surreale e onirica, in cui a predominare è l'accumulo caotico di gag sempre più grottesche e nonsense.

La situazione di partenza è tra le più classiche e abusate: il carismatico Phil, lo sfigato Stu e lo squinternato Alan trascinano a Las Vegas il loro amico Doug per festeggiare il suo addio al celibato in una notte di sfrenatezze, come vuole la tradizione yankee. Altrettanto automatiche saranno le conclusioni: l'incauto gruppetto cade vittima di una sbronza colossale (quella Hangover del titolo originale) e si risveglia il giorno dopo in preda alla sindrome di "postumi da sbornia" (in inglese si definisce con il termine hang-over, che non a caso è anche il titolo originale del film) più catastrofica che la storia ricordi. Ciò che rende interessante il film di Todd Phillips, uno degli autori di commedie più promettenti degli ultimi anni, è piuttosto uno "svolgimento" tutt'altro che banale. Al loro risveglio, infatti, i tre amigos si ritroveranno in una suite d'albergo completamente devastata, in compagnia di un bebè, di una gallina, e di una tigre inferocita, ma soprattutto senza l'ombra di Doug. È qui che comincia a prendere corpo la struttura del film, assimilabile a una vera e propria detection tipica del genere giallo, poiché i nostri eroi (completamente privi di memoria riguardo a quanto accaduto la notte prima) hanno un solo modo per ritrovare Doug: ricostruire a ritroso la catena di eventi che li ha portati a ridursi in quello stato delirante. Ed è dunque con una certa suspense che gli spettatori seguono l'affannosa ricerca d'indizi attraverso la quale i tre protagonisti tentano di individuare una possibile pista per colmare il buco nero della sera precedente.
Ma, a differenza di un giallo classico, l'indagine di Phil, Stu e Alan non ha proprio niente di canonico e anzi sembra deliberatamente violare tutti i principi della logica e della razionalità. I ragazzi, infatti, si ritroveranno ben presto risucchiati in un vortice di situazioni assurde e demenziali che, proprio in virtù della loro smaccata esagerazione, risultano buffe e irresistibili. Si comincia con un'affascinante spogliarellista neomamma (interpretata da Heather Graham), convolata a giuste nozze con Stu durante il delirio notturno. Si passa poi a una coppia di sadici ufficiali di polizia, che utilizzeranno gli sfortunati protagonisti come cavie per una strana lezione di difesa personale tenuta a dei bambini. Si prosegue nientemeno che con Mike Tyson in persona, infuriato con i ragazzi perché gli hanno rapito la sua adorata tigre, e si va avanti con un effeminato quanto pericoloso boss cinese al quale sono stati sottratti ben ottantamila dollari. Bastano questi piccoli accenni per capire subito che Una notte da Leoni segue la vocazione per i siparietti demenziali e i personaggi grotteschi tipica del cinema comico più caotico e sfrenato (come il recente SuxBad - 3 menti sopra il pelo, di cui recupera anche la comicità più sboccata escrementizia e irriverente).

La struttura "allucinogena" del film sembra, inoltre, avere parecchi punti di contatto con un filone molto in voga negli anni Ottanta, che alcuni critici hanno definito come "cinema ipnagogico": si tratta di film come Fuori Orario, Tutto in una notte o Tutto quella notte, in cui il protagonista, trascinato da un vortice di eventi irrazionali di cui non riesce ad assumere il controllo, sembra essere piombato in una sorta di allucinazione ad occhi aperti. A ciò si aggiunge il fatto che l'intreccio si sviluppa in maniera non lineare, un po' alla Memento. Il nucleo narrativo del film (ovvero la famosa notte da leoni), infatti, non viene mai mostrato direttamente, ma riaffiora solo durante i titoli di coda sottoforma di esilaranti immagini fotografiche.

Il pregio del film di Phillips sta nell'introdurre tutti questi elementi disturbanti all'interno del tradizionale genere della commedia, di solito poco incline alle innovazioni stilistiche. E ha dalla sua anche il non trascurabile vantaggio di essere dannatamente divertente. Merito anche di un affiatato ensemble d'attori, tra cui il sempre più maturo Bradley Cooper, che potrebbe divenire ben presto il nuovo astro della commedia americana, e l'irresistibile Zach Galifianakis, qui emulo di John Belushi.