Lansky, la recensione: Harvey Keitel in un bio-pic criminale

La recensione di Lansky, film che racconta l'ascesa al potere del gangster di origini ebree che, ormai anziano, racconta le sue "imprese" a un cocciuto giornalista. Su Rai3 e RaiPlay.

Lansky, la recensione: Harvey Keitel in un bio-pic criminale

Meyer Lansky, famigerato gangster di origini ebree, è ormai anziano quando negli anni Ottanta viene indagato per l'ennesima volta dai federali, convinti che abbia nascosto milioni di dollari frutto di affari illeciti in qualche "porto" sicuro. Il boss, ormai stanco di continuare a nascondersi e desideroso di rivelare al mondo la sua verità, contatta il giornalista David Stone per raccontargli la storia della sua vita, con il solo patto che il resoconto dovrà essere pubblicato solamente dopo che lui sarà morto.

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Lansky: Harvey Keitel in una foto

Come vi raccontiamo nella recensione di Lansky, Stone è un reporter al verde e in corso di separazione dalla moglie, che gli impedisce di vedere la loro unica figlia. Pensa di aver fatto finalmente il "colpaccio", pronto a lanciare una volta per tutte la sua carriera, ma un nuovo imprevisto rischia di troncare i suoi sogni sul nascere. E nel frattempo il criminale continua incontro dopo incontro a ripercorrere gli anni che hanno caratterizzato la sua scalata nel mondo della malavita americana.

Avanti e indietro

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Lansky: John Magaro in una scena del film

Un susseguirsi di frequenti flashback che si alternano alla narrazione presente, per due ore che racchiudono perfettamente il significato di bio-pic su grande schermo, almeno nella sua concezione più lineare. Perché sì il racconto offre diverse curiosità sull'ascesa criminale di un gangster sui generis, ma allo stesso tempo non trova sempre la giusta complessità nella gestione delle figure secondarie, che risultano una sorta di comparse di fronte al carisma del solo e unico protagonista. Una scelta sicuramente ponderata e che mette in luce tutte le molteplici ombre di questa figura scomoda e scostante, individuo senza scrupoli che non ha problemi a eliminare chi potenzialmente pericoloso per i suoi interessi ma anche padre amorevole di un figlio costretto sulla sedia a rotelle.

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Il fascino del male

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Lansky: Sam Worthington e Harvey Keitel in una scena del film

La sceneggiatura ad ogni modo non invoca pietismo nei confronti di un personaggio che incarna perfettamente lo stereotipo del boss d'Oltreoceano, che così spesso ci ha raccontato con maestria Martin Scorsese; non è un caso che a interpretare Lansky sia proprio uno dei suoi attori feticcio, un efficacissimo Harvey Keitel che mette in campo tutto il suo mestiere nella versione anziana, a cui tocca il compito di rimembrare quel passato così oscuro e violento. Un racconto che si snoda in diverse località del mondo, da Cuba a Tel Aviv fino a Ginevra, tutti luoghi chiave di questo percorso senza mezze misure per sfuggire alle autorità e acquistare sempre maggior potere, ritrovandosi anche a dover tradire i propri amici pur di non perdere quel ruolo ormai consolidato nell'élite mafiosa.

Facce d'angelo

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Lansky: AnnaSophia Robb è la moglie del boss

Il vagabondo ebreo, un angelo con la faccia da cattivo: sono solo alcuni dei soprannomi con i quali Lansky è stato etichettato da amici e nemici, a riprova che la sua presenza incuteva comunque timore in quell'ambiente dove il sangue scorreva a fiumi e chi sgarrava era costretto a pagare con la morte. Al cuore principale della trama, ambientato in quel passato in divenire, si accompagna la vicenda personale del giornalista Stone, interpretato con la giusta sobrietà da Sam Worthington. Il cast principale è completato da un ottimo John Magaro nelle vesti del giovane Lansky e da un'irriconoscibile AnnaSophia Robb - la ricorderete da giovanissima in La fabbrica di cioccolato (2007) e Un ponte per Terabithia (2007) - nei panni della moglie / vittima, per un film che si rifà ad alti modelli e a tratti risulta anche convincente, pur mancando di quel guizzo che possa elevarlo e farlo avvicinare ai suddetti punti di riferimento.

Conclusioni

Un'operazione ligia e onesta ma mai eccellente, che ripercorre senza particolare inventiva l'ascesa criminale del gangster che dà il titolo al film, interpretato nella sua versione anziana da un Harvey Keitel al solito perfetto in quel tipo di ruolo. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Lansky, ci troviamo davanti ad un bio-pic che si alterna tra il presente degli anni Ottanta, con il boss intento a raccontare a uno squattrinato reporter le fasi salienti della sua vita, e i numerosi flashback ambientati in quel passato segnato dalla violenza: un resoconto che intrattiene ma non avvince mai del tutto.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Un magnifico Harvey Keitel nei panni dell'anziano protagonista.
  • La storia è ricca di spunti affascinanti...

Cosa non va

  • ...ma non sempre questi vengono esplorati appieno, lasciando un senso di parziale incompiutezza.