Recensione Melissa P. (2005)

Un film facilmente dimenticabile, in evidente confusione tra l'esigenza (e l'urgenza) di mostrare e l'auto-divieto di non spingersi mai oltre un limite ben preciso per non turbare lo spettatore.

L'anno caldo di Melissa

Le pulsioni sessuali di un'adolescente innamorata, la scoperta di sé attraverso il proprio corpo, prima oggetto di perversi giochi altrui e poi strumento di vendetta, il brusco passaggio dall'adolescenza all'età adultra, tra disilussione e solitudine: ecco Melissa P., film già in partenza disgraziato, vittima del successo senza senso del suo originale cartaceo, il porno-diario autobiografico di un'adolescente catanese dotata sicuramente di una fervida immaginazione sporcacciona. Sapientemente depurato dei suoi contenuti più scabrosi, ma senza rinunciare a quel travolgente piacere voyeuristico che aveva decretato l'incredibile successo di Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, il film compatta i pensieri sfilacciati del libro per raccontare l'anno più caldo della vita di Melissa, quindicenne dalle labbra carnose svegliata in ginocchio dall'incanto dell'innocenza. E' una fiaba sbagliata la sua: sogna di essere Cenerentola, ma si scopre Cappuccetto rosso, persa in un bosco di depravazione dove lasciarsi sbranare con gli occhi bendati. Il regista Luca Guadagnino, qui al suo secondo lungometraggio di finzione, si diverte, insieme a Barbara Alberti e Cristiana Farina, a riscriverne la storia, facendo attenzione a non calcare la mano e a non rendere mai troppo esplicite le scene più spinte, per non rischiare il capitombolo allo sgambetto del primo nemico, la censura.

L'universo familiare di Melissa è tutto femminile: da un lato una madre troppo sbadata, che vede in lei ancora una bambina senza malizia, e dall'altro un personaggio assente nel racconto originale, ma che qui diventa fondamentale per lo sviluppo drammaturgico, quello della nonna, interpretata da una splendida Geraldine Chaplin, figlia del grande Charlie, una bizzarra donna innamorata della musica che riesce, più di chiunque altro, a leggere nello sguardo smarrito della nipote e a decifrare i graffi sul suo volto. Ognuna di loro vive una profonda solitudine e a tenerle distanti sembra essere la mancanza di una figura maschile, di quel padre che, lontano causa lavoro, comunica con Melissa solo attraverso il cellulare e le email e non le offre protezione dai pericoli del suo mondo di adolescente in ebollizione. Fuori infatti vanno alzandosi gli ululati dei lupi cattivi, che la attirano inevitabilmente verso di loro e, uno dopo l'altro, le strappano via qualcosa, la cambiano e la conducono faccia a faccia con la vita e con la crudeltà dell'essere umano. La conseguenza è il naturale rancore verso il maschio e il desiderio di vendicarsi di chi l'ha scaraventata nell'età adulta.

L'amore diventa per la giovane protagonista una trappola dell'uomo approfittatore dentro la quale cadere svestita. La scoperta che la carne è piacere e orrore riempie il suo diario, mentre gli eventi la risucchiano in un vortice autodistruttivo che la portano ad essere prima oggetto sessuale, schiava senz'anima dei comandi di virili buffoni, e poi vendicatrice scollacciata di se stessa, pronta a farla pagare cara (ma poi quanto?) a chi ha osato farla soffrire. Nel racconto di (de)formazione di Melissa l'adolescenza è dominata dal sesso, da quello cercato da soli, con le dita che esplorano la pelle nell'intimità di una stanza muta, a quello con uno, due, cinque o più belve affamate, fino a quello da macelleria nelle chat notturne, infestate da mostri pronti a dispensare lividi. Guadagnino, nelle scene scabrose, parte dai corpi per poi puntare la camera sugli occhi e preferisce soggettive stralunate della protagonista a inquadrature più sfacciate, in evidente confusione tra l'esigenza (e l'urgenza) di mostrare e l'auto-divieto di non spingersi mai oltre un limite ben preciso per non turbare lo spettatore, che preferisce però solleticare furbescamente stimolando svogliati pruriti pedofili che giustificherebbero comunque una censura ai maggiori di 18.

Può un brutto libro diventare un buon film? Sicuramente non è questo il caso. Si sfiora il ridicolo in Melissa P., eventi e dialoghi risultano spesso irreali ed è difficile appassionarsi ad una storia che appare immediatamente finta. L'amore passivo di Melissa per quel Daniele che le ruba la verginità e trasforma la sua innocenza in indecenza sembra solo un pretesto per mettere in scena i turbamenti sessuali di ragazzini senza cervello, ma con grandi idee sotto la cintola. Al cinema si è visto molto di meglio recentemente ed è fin troppo facile dimenticare un film del genere e un piacere, invece, recuperare perle invisibili come A mia sorella! di Catherine Breillat e La niña santa di Lucrecia Martel che dell'adolescenza sfiorata o avvolta dal sesso hanno offerto ritratti indimenticabili.