Recensione Cinque pezzi facili (1970)

Manifesto della controcultura giovanile di fine anni sessanta e inizio anni settanta, Cinque pezzi facili rivisita con rigore e partecipazione la parabola del 'Figliol prodigo'.

Il sogno americano spezzato con un sorriso

Il fascino stropicciato e maledetto di Jack Nicholson ha radici lontane. A dispetto di una bellezza tutt'altro che convenzionale, anche smontato dalla sella della Harley Davidson di Easy Rider, il giovane attore di Neptune continua a dare prova di sontuoso magnetismo. Il film in cui esplode inattesa la sua carica prepotente è Cinque pezzi facili e il regista che per primo ha l'ardire di veicolarne il talento grezzo e il ghigno mefistofelico, è Bob Rafelson, lo stesso che tornerà a dirigerlo nel 1972 in Il re dei giardini di Marvin, nel 1981 in Il postino suona sempre due volte e nel 1996 in Blood and Wine. Manifesto della controcultura giovanile di fine anni sessanta e inizio anni settanta, Cinque pezzi facili rivisita con rigore e partecipazione la parabola del "Figliol prodigo".

Protagonista del film è il giovane Robert Eroica Dupea (Nicholson), un ex pianista che ha deciso di abbandonare una sicura carriera musicale e gli agi di una famiglia alto borghese per vivere ai margini della società. Lavora senza mai spezzarsi la schiena in una piattaforma petrolifera, coltiva amicizie poco impegnative, divide uno squallido appartamento con la giovane Rayette (Karen Black, perfetta nel ruolo della cameriera svampita e superficiale, tradita a più riprese dal suo uomo ma a lui indissolubilmente devota). Quando sua sorella (Lois Smith) lo informa del peggioramento dello stato di salute del padre, Robert si vede costretto a tornare all'ovile. Abbandona il lavoro, monta sulla sua auto scassata - tallonato dalla fidanzata - e si mette in viaggio verso casa e verso quel passato dal quale ha tentato per anni di allontanarsi. Lungo il tragitto la coppia dà un passaggio a due giovani donne dirette in Alaska, che dai racconti interminabili della più logorroica delle due, Bob scopre essere la nuova terra promessa degli americani disillusi. Giunto finalmente a destinazione e "parcheggiata" Rayette in un motel, Robert prosegue verso la villa di famiglia dove scopre che suo padre è praticamente ridotto a un vegetale e, soprattutto, che la nuova fiamma di suo fratello - un violinista che un brutto incidente ha trasformato in pianista - è Catherine Van Oost, affascinante concertista (Susan Anspach in un ruolo pensato inizialmente per Jeanne Moreau). Pericolosamente attratto dalla donna, Robert sembra vagliare per la prima volta l'ipotesi di cambiare vita e di riconciliarsi con il suo mondo. Questo fino a quando la sua irruenza e testardaggine non finiscono per spegnere la scintilla e per mandare tutto all'aria. Quando arriva il momento di impegnarsi, Robert ha il terrore di trasformarsi in tutto quello che ha sempre rifuggito (una vita tranquilla accanto ad una donna innamorata, l'accettazione dell'amore per la musica) e preferisce darsela nuovamente a gambe e continuare a crogiolarsi nella pseudo tranquillità di una vita che non gli chiede mai di impegnarsi fino in fondo: ad una donna risolta e impegnativa come Catherine preferisce così la fragile Rayette, la compagna che tanto bene riesce a "manovrare". E che pianta in asso in autostrada per partire, forse, alla volta dell'Alaska.

Sono la sceneggiatura asciutta, feroce e implacabile di Bob Rafelson e Carole Eastman, e la prova d'attore di un Nicholson poco più che trentenne i punti di forza di Cinque pezzi facili. Candidato all'Oscar per la sua straordinaria interpretazione (e con lui anche Karen Black, il film e la sceneggiatura), con il film di Rafelson il ragazzo del New Jersey compie il grande salto e si rivela al mondo nel sorriso spento di un giovane uomo alienato dalla società che non ha paura di spezzare l'incanto del sogno americano. E di cambiare strada quando gli sembra di incrociarlo nello sguardo azzurro di Susan Anspach.