Recensione Sleeping Around (Di letto in letto) (2008)

Portando sul grande schermo il proprio adattamento di Girotondo di Schnitzler, Carniti regala al pubblico cinematografico un'opera affascinante e complessa sul senso dell'amore e del sesso in una società che fatica a trovare la propria identità.

Il sesso, l'amore, il senso

Solitudine, rimpianto, paura di soffrire: sentimenti a cui ognuno di noi vorrebbe poter essere immune, e da cui cerca di mettersi al riparo con la propria personale ricetta. C'è chi si barrica dietro al cinismo, chi si rifugia nelle attenzioni passeggere di uno sconosciuto, chi testardamente non rinuncia al proprio sogno d'amore, nonostante la sua evidente impossibilità. E in Sleeping Around (Di letto in letto), debutto sul grande schermo di Marco Carniti, questi tentativi di dimenticare, anche solo per un attimo, quanto sia vano ricercare la felicità ci sono tutti.


C'è Lory, un'hostess di volo dipendente dalla cocaina e dal sesso occasionale; c'è Sara, donna in carriera che non esita a mettere in campo le sue indubbie doti fisiche pur di aggiudicarsi un successo professionale; c'è Marcelo, intellettuale radical chic, estimatore dell'"essenza della tostapanità", in cui il noto elettrodomestico si fa metafora dell'inevitabile caducità di tutto, del dolore quanto del piacere. E poi ci sono le coppie: Elena e Giovanni, entrambi fedifraghi, uniti soltanto dalla frustrazione e dal risentimento, reciproco ma anche nei confronti di sé stessi; Beatrice e Paolo, divisi dalla malattia di lui e dall'ossessione di lei nel volerlo a tutti i costi salvare; Sonia, smaliziata e autodistruttiva, e Ricky, ingenuo, tenero e soprattutto ancora vergine. Sotto lo sguardo sprezzante di una metropoli futurista ma anche estremamente reale, queste esistenze, così lontane e diverse, sono destinate a mescolarsi, oppure solo a sfiorarsi per il breve spazio di una notte: sempre alla ricerca di un angolo di pace, di una sicurezza, di un posto in cui sentirsi a casa, e dove potersi riposare un po' dalla fatica di vivere.

L'opera prima di Marco Carniti tradisce fin dalle prime sequenze la propria origine teatrale: adattamento di Girotondo di Arthur Schnitzler, è stata portata in scena per anni dallo stesso regista, prima di approdare nelle sale cinematografiche, una volta superato il consueto percorso a ostacoli che devono affrontare le pellicole indipendenti per farsi largo nel meccanismo antimeritocratico della distribuzione italiana. Ed è un bene che Distribuzione Indipendente sia riuscita nell'impresa di far scoprire a un pubblico potenzialmente ben più vasto di quello teatrale questo lavoro d'esordio, che però di ingenuo o improvvisato ha ben poco: a partire dalla costruzione solida della sceneggiatura, ripresa certo dall'originale ma rimaneggiata in favore del mezzo cinematografico, che interseca con precisione, ma senza eccessiva schematicità, le vicende dei protagonisti. La narrazione di questi scampoli di vita, che, pur non essendo storie propriamente dette, con un inizio, una fine e una morale, ne hanno la stessa forza espressiva, si costruisce attraverso immagini crude, esplicite ma insieme connotate da una forte sensibilità: c'è il sesso, quasi sempre un mero esercizio meccanico o, nel migliore dei casi, una merce di scambio, un'espressione atavica di potere chiamata a definire le gerarchie di una coppia, ma ci sono anche gli sguardi di speranza, i gesti d'affetto destinati a cadere nel vuoto, gli abbracci senza alcuno scopo se non quello di offrire un momentaneo conforto. A fare da sfondo a questa umanità alla disperata ricerca di un senso è una metropoli senza nome, spersonalizzata in un non luogo freddo e indifferente, e che però è innegabilmente quello della nostra realtà: di tutti e di nessuno, questo palcoscenico è paradossale quanto l'esistenza umana, che di per sé non ha significato, ma che non può nemmeno trovarlo in qualcos'altro.
La bravura di Carniti sta nel riuscire a rimarcare questa eterna lacerazione, tra il singolo e il mondo, tra la ricerca di se stessi e la necessità di perdersi, tra l'accettazione e la speranza in un cambiamento, con sguardo lucido e impietoso, ma senza mai scadere nel nichilismo. Perché, nonostante l'impossibilità di amare, di farsi capire e di capire, questi uomini non si arrendono, non smettono di interrogarsi su quello che sono e su quello che è giusto che siano, e quindi forse, seppur attraverso percorsi tortuosi e accidentati, una risposta sono destinati a trovarla.

Movieplayer.it

3.0/5