Il nuovo cinema russo

L'inaspettato successo internazionale del film I guardiani della notte, porta alla ribalta nuovamente una cinematografia, quella russa, di nobili natali e di grande tradizione teorica, ma assai poco presente, negli ultimi anni, nelle classifiche dei botteghini dei cinema europei ed internazionali.

L'inaspettato successo internazionale del film I guardiani della notte porta alla ribalta nuovamente una cinematografia, quella russa, di nobili natali e di grande tradizione teorica, ma assai poco presente, negli ultimi anni, nelle classifiche dei botteghini dei cinema europei ed internazionali. Il collasso della vecchia Unione Sovietica e il passaggio in direzione di un'economia di mercato hanno segnato una notevole battuta di arresto nell'industria cinematografica sia in Russia che nelle altre repubbliche limitrofe. Al pesante taglio sui finanziamenti pubblici all'industria cinematografica nazionale ed alla conseguente diminuzione di sale cinematografiche, si è aggiunta l'immancabile invasione di film americani che, in pochissimo tempo, hanno coperto l'80-85% del totale della programmazione nelle sale russe. Non che la produzione si sia per questo fermata, anche se per circa una decina d'anni i film veramente degni di nota non sono stati molti. Accanto alle opere dei grandi maestri ed alle pellicole di indubbia qualità artistica si è imposto, infatti, un nuovo cinema più orientato al profitto fatto di action movies dozzinali, commedie di scarsa qualità e film pornografici. Facili guadagni che si sono depositati provvisoriamente nelle casse di un'industria che si deve dare una nuova struttura commerciale senza perdere la propria identità artistica, mentre il nome della cinematografia russa veniva mantenuto alto da quei pochi registi in grado di distinguersi nell'ambito dei festival, catturando l'interesse del pubblico internazionale.

Primo tra i fautori della rinascita, Nikita Mikhalkov ha riscosso enorme successo con le sue ultime pellicole, Sole Ingannatore e Il barbiere di Siberia. Memore della lezione dei grandi della tradizione cinematografica sovietica, Mikhalkov è riuscito però, astutamente, a fondere quella maestria, eleganza e ricerca estetizzante tipiche della tradizione orientale con la spettacolarità e l'ironia tanto gradite al pubblico ed ai produttori occidentali. L'Italia, e soprattutto la Francia, hanno creato una salda partnership con il regista russo coproducendo i suoi lavori e favorendone la distribuzione estera con il conseguente successo economico che ne è derivato. Altro nome in grado di risollevare le sorti della cinematografia sovietica è Aleksandr Sokurov, pupillo di Andrei Tarkovsky, assai meno incline al compromesso e all'istrionismo rispetto al collega Mikhalkov. Insolitamente prolifico nonostante le resistenze del regime sovietico che lo considerava un "sovversivo", Sokurov realizza opere intrise di un intellettualismo e misticismo tutti orientali, privilegiando quel simbolismo antinaturalistico che lo accomuna con la tradizione dei padri, senza però rinuciare ad un costante sperimentalismo formale. E' del 2002 la realizzazione di Arca russa: girato in digitale ad alta definizione, il film si compone di un lunghissimo piano sequenza della durata di 90 minuti e contiene la più lunga ripresa in steadicam mai girata.

Anche Andrei Konchalovsky, così come il fratello minore Nikita Mikhalkov, alterna produzioni russe legate alla grande tradizione letteraria e teatrale ad incursioni nel cinema occidentale, soprattutto made in USA, non disdegnando di dirigere anche pellicole di puro intrattenimento e dalla qualità non eccelsa. Nel 2002 Konchalovsky realizza La casa dei matti, curiosa e sgangherata incursione in un ospedale psichiatrico situato sul confine tra Russia e Cecenia e coinvolto, suo malgrado, nel turbine della guerra. Se questi grandi autori proseguono un percorso iniziato ben prima che il crollo dell'ex URSS stravolgesse la situazione politica, economica e culturale dei paesi dell'Est, è anche vero che ogni rivoluzione che si rispetti consta di una pars destruens, così ai maestri più tradizionalisti si affianca una schiera di giovani iconoclasti in cerca di un proprio percorso indipendente che li porta, talvolta, a rinnegare l'influenza della tradizione e ad esorcizzare il potere del passato. Ecco quindi i vari Maksim Pezhemsky, Oleg Kovalov, S. Dobrotvorsky, autore di Nicotine, un remake del francese Fino all'ultimo respiro ambientato nella Leningrado dei nostri giorni, e ancora Children of Iron Gods di Tomash Tot, straordinario affresco ambientato in un inferno contemporaneo, una fonderia situata nel cuore della Russia dove lavoro, odio, amore competizione e lotta per il potere si intrecciano nell'immenso e desolato set.

Nonostante la crisi economica che, attualmente, attanaglia la Russia e tutti i problemi che ne conseguono per l'industria cinematografica (scarsi finanziamenti, studi in degrado, attrezzature vetuste, costi elevatissimi che spingono molti registi, tra cui lo stesso Mikhalkov, a girare nell'oasi felice di Praga) il cinema sta dando notevoli segnali di rinascita che fanno ben sperare. Nel 2002 al Festival di Cannes si fa notare Il fratello grande di Alex Balabanov, gangster movie on the road a cavallo tra Russia e USA che vede tra i protagonisti il giovane e promettente attore e regista Sergei Bodrov jr (figlio del regista Sergei Bodrov), scomparso pochi mesi dopo, a soli 30 anni, in una slavina nella gola di Karmadon, nel Caucaso, mentre stava girando il suo secondo film, The Messenger. Sul versante del cinema d'autore s'impone il nome di Kira Muratova, una delle poche donne nel panorama registico sovietico, attiva fin dagli anni '60, ma oscurata in patria fino al 1987. Nota in Italia soprattutto per Tre piccoli omicidi, lo scorso anno ha presentato fuori concorso al Festival di Venezia il suo ultimo lavoro, Nastrojšik, storia di una truffa ai danni di due vecchie signore narrata col ritmo brillante e sostenuto di una slapstick comedy.

Anche la meglio gioventù del cinema russo sembra ormai essersi ridestata, pronta a immettersi sul mercato internazionale grazie anche ai successi di critica ottenuti nei vari festival: sempre a Venezia, nel 2003, l'esordiente Andrey Zvyagintsev strappa, tra mille polemiche, il Leone d'oro a Marco Bellocchio con il suo Il ritorno, poetico viaggio nell'infanzia di due piccoli fratelli che cercano di riscoprire l'affetto per quel padre perduto e poi riapparso misteriosamente nelle loro vite. Le tematiche del viaggio e della paternità sembrano far parte del DNA dei giovani cineasti russi alla scoperta delle proprie radici visto che, nello stesso anno, una coppia di registi anch'essi esordienti, Boris Chlebnikow e Alexei Popogrebsky, realizzano un altro road movie incentrato sul rapporto padre-figlio, Roads to Koktebel anch'esso premiato al Festival di Bruxelles. Quest'anno è stato presentano in concorso a Venezia Garpastum, pellicola ambientata nella Russia a cavallo tra la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione e incentrata sul gioco del calcio, principale passione dei quattro giovani protagonisti, simbolo delle speranze, degli amori e dei sogni di gloria di una generazione destinata a cambiare la storia del proprio paese. Il giovane regista Aleksei German jr, anch'esso figlio d'arte e già vincitore nel 2003 con la sua opera prima, L'ultimo treno, del premio Luigi De Laurentis, mostra nell'accurata ricostruzione di un'epoca ormai lontana e nella ricerca fotografica (il virato in seppia che domina la pellicola), il tentativo di riallacciare un dialogo con la tradizione estetica e poetica del passato concentrandosi su quelle tematiche profondamente russe che permeano il film. Così, tra tradizione e rinnovamento, il giovane cinema dell'Est si affaccia ad occidente col suo bagaglio di visioni alla ricerca di un pubblico pronto ad accoglierne il messaggio, in attesa di verificare se questa rinascita non si dimostrerà solo momentaneo un fuoco di paglia.