Il cacciatore: quando Hollywood fece i conti con il Vietnam

Torna al cinema in versione restaurata Il cacciatore: uscito nel 1978, il capolavoro di Michael Cimino portava in primo piano l'orrore del Vietnam e il trauma della guerra.

Il cacciatore: quando Hollywood fece i conti con il Vietnam

Ma di cosa vuoi ancora aver paura dopo questa guerra?

Il 27 gennaio 1973, con la firma degli accordi di Parigi, il Governo degli Stati Uniti sancisce la fine del proprio intervento militare in Vietnam, iniziato alla metà del decennio precedente con Lyndon Johnson alla Casa Bianca e proseguito con una clamorosa escalation durante la Presidenza di Richard Nixon. Poco più di due anni dopo, nell'aprile 1975, l'esercito nordvietnamita prende d'assalto Saigon, preludio all'annessione del Vietnam del Sud; le immagini dell'evacuazione d'emergenza dei civili americani ancora di stanza a Saigon sarebbero diventate un simbolo della disfatta della politica statunitense nel suo tentativo di controllare il Sud-Est asiatico. Nel frattempo il 9 agosto 1974, sull'onda dello scandalo Watergate, Richard Nixon si era dimesso dalla carica di Presidente, sottraendosi a un imminente processo di impeachment; per l'America, si trattava di un altro momento cruciale di un'emblematica "perdita dell'innocenza".

Vietnam War
Un'immagine della Guerra del Vietnam

È in questo contesto, contrassegnato da una profonda crisi di fiducia nelle istituzioni e dal crollo del mito dell'invincibilità degli Stati Uniti, ma pure da un progressivo tramonto delle ideologie sessantottine, che Hollywood, o piuttosto la New Hollywood, produce alcuni tra i film più importanti sulla società americana e sulla conflittuale relazione fra individui, collettività e Stato: nel 1975 escono Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman, Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet, Nashville di Robert Altman e I tre giorni del Condor di Sydney Pollack; nel 1976 è la volta di Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula, incentrato proprio sull'inchiesta sul Watergate, Taxi Driver di Martin Scorsese e Quinto potere, ancora di Lumet. E se il 1977 sembra segnare una parziale inversione di tendenza, nel 1978 l'industria hollywoodiana è finalmente pronta a confrontarsi con quella ferita tutt'altro che cicatrizzata: la Guerra del Vietnam e i suoi orrori.

Life during wartime

Deer Hunter
Il cacciatore: un'immagine di Robert De Niro

Il 15 febbraio 1978 debutta nelle sale Tornando a casa di Hal Ashby, asciutto melodramma sul triangolo tra un ufficiale dei marine spedito in Vietnam, sua moglie, volontaria in un ospedale militare, e un veterano paraplegico. Lo spirito pacifista del film di Ashby intercetta i consensi di critica e pubblico, trasformando Tornando a casa in uno dei casi cinematografici dell'anno; ma a catalizzare l'attenzione mediatica in maniera perfino più ampia, a partire dal mese di dicembre, sarà Il cacciatore, secondo lungometraggio diretto dal regista newyorkese Michael Cimino dopo Una calibro 20 per lo specialista e autentico spartiacque nell'itinerario della New Hollywood. Presentato in anteprima l'8 dicembre a Los Angeles, per poi approdare al cinema il 23 febbraio 1979 (e in contemporanea al Festival di Berlino), Il cacciatore si rivela un successo sorprendente, ma anche uno dei film più discussi e divisivi degli anni Settanta, oggetto di fervidi elogi così come di feroci contestazioni.

The Deer Hunter
Il cacciatore: un'immagine del film

Fino ad allora, gli studios hollywoodiani avevano sempre ritenuto la Guerra del Vietnam un argomento assolutamente tabù, con rarissime eccezioni: Berretti verdi del 1968, film di propaganda militarista diretto e interpretato da John Wayne, e il ben più interessante I visitatori del 1972, produzione targata United Artists in cui Elia Kazan raccontava in chiave thriller la folle violenza di due veterani del Vietnam. Nel 1978 è invece una major come la Universal, in collaborazione con la britannica EMI Films del produttore Michael Deely, a finanziare e distribuire la pellicola di Michael Cimino: un imponente affresco che, nell'arco di tre ore di durata, ricostruisce l'esperienza della guerra - e le sue drammatiche conseguenze - adottando la prospettiva di un gruppo di amici appartenenti alla comunità operaia di origini slave delle acciaierie della Pennsylvania, un microcosmo in cui le tradizioni dell'Europa dell'Est si fondono al patriottismo di questi "nuovi americani", in procinto di sperimentare l'inferno vietnamita.

Il cacciatore: il Vietnam e l'America nel capolavoro di Michael Cimino

Il Vietnam secondo Michael Cimino

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Il cacciatore: un'immagine di Robert De Niro

Alla radice de Il cacciatore vi è in realtà un copione acquistato da Michael Deely diversi anni prima, dal titolo The Man Who Came to Play. Il soggetto di partenza viene poi rielaborato dallo sceneggiatore Deric Washburn (e da Michael Cimino, non accreditato), recuperandone l'elemento su cui sarà imperniata l'atroce metafora della guerra: la roulette russa, con i personaggi che si sottopongono a una crudele sfida con il caso premendo il grilletto di un revolver puntato alla tempia. Se infatti l'intera prima parte de Il cacciatore, ambientata nel 1968 in Pennsylvania, delinea i personaggi principali e i loro reciproci rapporti, ricorrendo al tòpos dell'amicizia virile, la sezione centrale del film ci immerge di colpo nella giungla del Vietnam, selvaggio teatro della prigionia dei tre protagonisti: Mike Vronsky, Nick Chevotarevich e Steven Pushkov, interpretati rispettivamente da Robert De Niro (reduce dalla consacrazione di Taxi Driver), Christopher Walken e John Savage.

John Cazale Chuck Aspegren Robert De Niro
Il cacciatore: un'immagine del film

Sono queste sequenze, e in particolare la famigerata tortura della roulette russa applicata dai vietcong ai marine, a imprimersi fin da subito nell'immaginario, nonché a scatenare le polemiche più aspre. Il cacciatore, del resto, non avrà vita facile: a partire dai ben sei mesi di riprese, nell'ottica del ruvido realismo della messa in scena, e dal braccio di ferro fra Michael Cimino e i dirigenti della Universal durante la post-produzione, con il regista che deciderà di modificare il montaggio di Peter Zinner pur di sacrificare il meno possibile rispetto alla propria visione della storia. Ma all'uscita del film, è appunto l'elemento della roulette russa a finire nel mirino di critici e giornalisti: una "licenza poetica" che alimenta le accuse di aver offerto una visione manichea della guerra, enfatizzando la brutalità dei nordvietnamiti. L'eco delle controversie giunge fino a Berlino, dove gli Stati comunisti boicottano il Festival mentre Il cacciatore rimane escluso dall'elenco dei premiati.

Ricordando Michael Cimino: l'affresco di un'America fra bellezza e violenza

Nel cuore di tenebra dell'America

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Il cacciatore: un'immagine di Robert De Niro

Sul piano politico, gli strali contro l'opera di Cimino arrivano però sia da sinistra che da destra: privo di qualunque intento sciovinistico (a dispetto di quel coro finale sulle note di God Bless America, che ha ben poco di celebrativo), Il cacciatore si propone come il canto funebre di una nazione ritratta nel pieno del suo collasso materiale e morale, che si riflette nella discesa del Nick di Christopher Walken in una spirale autodistruttiva senza ritorno. Eppure, un film che correva il rischio di scontentare e far indignare quasi tutti (spesso per ragioni opposte) riscuote al contrario un consenso di proporzioni impressionanti; anche e soprattutto da parte del pubblico, che nell'inverno del 1979 accorre in massa nei cinema, facendo registrare a Il cacciatore cinquanta milioni di dollari d'incasso in Nord America, con oltre venti milioni di spettatori. Per il respiro epico del racconto, per l'abilità nel rileggere gli archetipi, ma più ancora, forse, per un'empatia verso personaggi in cui in molti possono ritrovare qualche frammento di se stessi (e dei propri traumi).

Cimino Deer Hunter
Il cacciatore: Michael Cimino, Robert De Niro e Meryl Streep

Sull'onda di un tale entusiasmo, per quanto non unanime, l'Academy riserverà alla pellicola di Cimino cinque premi Oscar, tra cui i riconoscimenti per miglior film e miglior regia e il trofeo come miglior attore supporter a un memorabile Christopher Walken (mentre una Meryl Streep semi-esordiente si aggiudicherà la sua prima candidatura). Tragica epopea dedicata alla "gente comune", in cui l'umanesimo di fondo non viene mai soffocato dal lucido cinismo di altri classici della New Hollywood, Il cacciatore è probabilmente il titolo perfetto per il momento storico che l'America sta vivendo sul finire degli anni Settanta, come una sorta di collettiva elaborazione del lutto. Oltre ad essere, al di là dei suoi limiti nella rappresentazione dei vietcong (ma il punto di vista, è bene ricordarlo, aderisce solo a quello dei militari americani), un capolavoro che trascende il proprio contesto di appartenenza, in grado di calarci negli abissi di un "cuore di tenebra" in cui, pochi mesi più tardi, il pubblico sarebbe stato ricondotto da Francis Ford Coppola con il più grande film sul Vietnam - e sull'orrore - mai realizzato.