Ghiaccio, la recensione: Storie di cadute e redenzioni

La recensione di Ghiaccio, esordio alla regia di Fabrizio Moro che scrive e dirige il film insieme a Alessio De Leonardis: una storia di cadute e redenzione attraverso le fatiche della boxe, il ring come metafora della vita.

Ghiaccio 3
Ghiaccio: una foto del film

"Il pugilato non è solo uno sport: è una filosofia di vita. Un combattente è un combattente. Sempre. Anche e soprattutto al di fuori del ring". La frase d'apertura che campeggia a caratteri cubitali nei titoli di testa non lascia spazio a interpretazioni: l'esordio alla regia di Fabrizio Moro, Ghiaccio, parte dall'urgenza di rivelare sin da subito la materia del racconto, quel connubio tra cinema e boxe che negli anni ha foraggiato un genere. La narrazione che seguirà, come leggerete in questa recensione di Ghiaccio, rispetta pedissequamente tutte le regole della tradizione e il ring diventa metafora della vita. Moro, che ha scritto e diretto il film insieme all'amico Alessio De Leonardis, già autore dei videoclip di alcune sue canzoni, firma anche il brano della colonna sonora, Sei tu, in gara al 72° Festival di Sanremo. In sala per soli tre giorni il 7, 8 e 9 febbraio, ripercorre gli stereotipi del genere, rispolvera inevitabilmente alcuni titoli cult, li cita e poi torna lì dove è nato: nella borgata romana abitata da rabbia, desiderio di riscatto, amore e speranza.

Cinema e boxe

Ghiaccio 5
Ghiaccio: una sequenza

La storia di Ghiaccio inizia nel 1997, da una vecchia radio riecheggia la cronaca della partita Roma-Lecce, poi sull'uno a zero di Totti esplodono i colpi di pistola che crivellano il corpo di un uomo. Un breve piano sequenza tra le vie disagiate della periferia romana del Quarticciolo catapulta lo spettatore nel 1999 tra le stesse strade e palazzi scalcinati, dove Giorgio (Giacomo Ferrara), giovane promessa della boxe, vive con la madre. Suo padre, l'uomo assassinato anni prima, gli ha lasciato una pesante eredità: un debito con la malavita che rischia di inchiodarlo a un destino feroce. Ma Massimo (Vinicio Marchioni), pugile mancato che alla boxe ha rinunciato per diventare padre e farsi una famiglia, decide di allenarlo e dargli così la possibilità di entrare nel mondo del pugilato professionistico.

Ghiaccio 14
Ghiaccio: una scena

Per Giorgio è l'occasione di riscattarsi e superare dalla parte giusta quel confine tra "esse bono e esse cattivo" che poi, come racconta la sua stessa voce fuori campo, "è quello che conta na' a vita, perché arrivi a un punto in cui devi per forza rispondere e non puoi più scappà, come quando te mettono all'angolo".
La parabola del protagonista che va a tappeto per poi rialzarsi, si definisce attraverso una narrazione lineare e la classica metafora dello sport come opportunità di rivalsa e percorso di redenzione. Non ci sono intuizioni originali né a livello registico né sul piano della scrittura, ma del resto il film non ha alcuna pretesa se non quella di raccontare una storia di inciampi e ripartenze, di amore declinato in tutte le sue sfumature (per la propria famiglia, per una donna o quello filiale tra allievo e mastro) e di speranza. Dentro c'è molto della vita personale di Fabrizio Moro, c'è la rabbia, la ferocia della borgata romana degli anni '90, la disillusione e la voglia di "non andare giù e provarci sempre".

I 15 migliori film sulla boxe e pugilato

Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara, il maestro e l'allievo

Ghiaccio 13
Ghiaccio: Vinicio Marchioni in una scena del film

Tra cazzotti, cappucci alzati sulla testa, allenamenti, sudore, sangue e ghiaccio Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara rendono credibili due outsider e ricostruiscono quel rapporto di complicità che li definisce sia dentro che fuori dal ring. E in scena fanno propria la lezione che arriva direttamente da Stanislavskij, secondo il quale come fu teorizzato poi nelle parole di uno dei massimi studiosi del teatro del Novecento, Franco Ruffini, "c'è qualcosa che accomuna un boxeur e un attore: il connubio di ferocia e fragilità, di natura e di artificio, di forma e di deformazione. La dinamica della boxe è tutt'uno con il principio di azione e reazione.

Ghiaccio 9
Ghiaccio: Giacomo Ferrara in una scena

È questo il comandamento dell'attore che chiede di essere creduto, prima che di essere ammirato. Il principio di azione e reazione salva il pugile dal knock out, e salva l'attore dalla menzogna". Mesi e mesi di allenamenti con il campione del mondo dei pesi supermedi in WBA Giovanni De Carolis, hanno permesso alla coppia di attori di restituire la verità della fatica e di ogni colpo sferrato per affrancarsi dai posti sbagliati, perché "certe volte quando nasci nel posto sbagliato c'è il rischio che te fanno diventà cattivo". Ghiaccio è un film sulle possibilità, ma in fondo è anche una storia di padri e di figli, e di come "nella vita c'è sempre qualcosa per cui vale la pena combattere".

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Ghiaccio ribadendo quando detto fino a ora. Il film seppur con qualche ingenuità e superficialità di troppo, si rivela un buon esordio. Fabrizio Moro e Alessio De Leonardis raccontano la rabbia e il desiderio di riscatto della periferia romana attingendo direttamente alle proprie esperienze personali. C’è molto di autobiografico in Ghiaccio ed è questo forse a renderlo così credibile, insieme alle scene di combattimento sul ring costati ai due interpreti Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara, mesi e mesi di allenamento con il campione di pesi supermedi Giovanni De Carolis.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara rendono credibili i due protagonisti, restituendone verità e complicità sia dentro che fuori dal ring.
  • Una storia di caduta e redenzione che ripercorre tutti gli stereotipi del cinema sulla boxe.

Cosa non va

  • La tendenza di risolvere alcuni passaggi in maniera frettolosa e superficiale.