Doggy Style, la recensione: se il tragico diventa simpatico trash

La recensione di Doggy Style: dal dramma di un cane maltrattato e abbandonato, il film prodotto da Phil Lord e Christopher Miller diventa un road movie alternativo, estremamente sboccato e scurrile, mantenendo però un cuore nobile e sincero.

Doggy Style, la recensione: se il tragico diventa simpatico trash

Come una puntata de I Griffin o de I Simpson, la precisione della scrittura parte da un pretesto finendo dritto dritto in un altro, quasi opposto. Questione di narrativa, di punti di vista che cambiano, di applicazione e di svolgimento. Così, quando è stato annunciato Doggy Style (titolo molto più ambiguo, rispetto a quello originale, ovvero Strays), con la distribuzione che rimarcava fosse prodotto "dagli stessi di Ted e Cocainorso", siamo stati assaliti da un dubbio: Ted è un capolavoro (passateci l'iperbole), mentre Cocainorso è, invece, una cocente delusione. Niente mezze misure. E niente mezze misure anche nel film di Josh Greenbaum, scritto Dan Perrault: tutto è eccessivo, tutto è volgare, tutto è volutamente trash, in uno sconnesso e strambo percorso dove i protagonisti sono quattro irresistibili cani parlanti. Vedendolo, però, un sospiro di sollievo: è molto meglio di come potevamo immaginare (lo spauracchio Cocainorso è stato allontanato!).

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Doggy Style: una scena del film

Doggy Style, che si affibbia il geniale sottotitolo Quei bravi ragazzi, fa letteralmente il verso ai film con i cani degli anni Novanta (su tutti In fuga a quattro zampe, cult movie di Duwayne Dunham), esagerando in un crescendo di scurrilità e rimarcata stupidità. Attenzione, però: non è tutto sciocco ciò che sembra stupido. Anzi. Dietro le parolacce e le oscenità canine (rating V.M. 14), Doggy Style mantiene un sottotesto quasi tragico, drammatico nella sua enfatizzazione. Si parla di abbandono, di relazioni tossiche, di maltrattamenti, di solitudini. Un inizio fortemente disturbante e drammatico poi trasformato in un gretto road movie alternativo, non troppo spassoso, ma sicuramente divertente e simpatico nella sua becera esasperazione. Dunque, nel suo modo di intendere scorretta la commedia, il film prodotto tra gli altri da Phil Lord e Christopher Miller mantiene una bollente verve, coerente con lo scopo e con la storia. Tanto basterebbe.

Doggy Style, la trama: in viaggio con Reggie

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Doggy Style: una foto del film

Storia che, come detto, inizia con uno dei gesti più spregevoli, codardi e infami che ci possano essere: il gretto Doug (Will Forte), avvinazzato e iracondo, cerca in tutti i modi di disfarsi di Reggie, dolcissimo Border Terrier strappato alla sua ex ragazza. Reggie è trascurato, ma nonostante questo prova affetto per l'ignobile padrone. Esasperato, l'uomo, lo porta a tre ore di distanza, lasciandolo in mezzo ad un vicolo. Il cagnolino non ha ben compreso cosa sia successo (e sì, vi si stringerà il cuore), ritrovandosi sperduto in città. Almeno fino a quando non incontra il disilluso e rozzo Bug, un Boston Terrier che vive alla grande la vita del randagio.

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Doggy Style: un'immagine del film

Ai due, si uniscono anche la sveglia Maggie, Pastore Australiano, e Hunter, un alano insicuro che svolge terapia verso pazienti oncologici (qui ci sarebbe da riflettere). Un quartetto formidabile, e una consapevolezza che monta (vabbè, verbo non voluto...) in Reggie: Doug non è l'amorevole padrone che credeva. Bisogna fargliela pagare, bisogna vendicarsi. Come? Strappandogli "le palle a morsi". Il quartetto viaggerà a ritroso, seguendo le tracce e gli odori, incontrando personaggi strani, cavalcando (...) l'avventura (e non solo), mollando qualsiasi freno inibitorio e riflettendo filosoficamente sui comportamenti umani.

Turpiloqui e grande cuore

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Doggy Style: una sequenza del film

Lo abbiamo scritto all'inizio della recensione: Doggy Style non va per il sottile, e passa da un umore all'altro, alternando folgoranti battute a battutacce weird, fregandosene della correttezza e della compostezza, e calcando le mani (anzi, le zampe) in un susseguirsi di sequenze scult (quella dei funghetti allucinogeni vale la visione). Intanto, la scrittura di Dan Perrault (autore dell'ottimo mockumentary Netflix American Vandal) si carica verso un disfunzionale revenge movie, folle nella sua concezione e sfumata nei tratti focali dei quattro cani protagonisti. C'è il viaggio, catartico e risolutivo, c'è il valore dell'amicizia, c'è il senso d'amore puro spiegato dai cani, che rifiutano ogni sovrastruttura mostrandosi per ciò che sono.

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Doggy Style: un frame del film

Il film si carica, e ci carica: poco a poco attendiamo il finale, non vediamo l'ora che la vendetta di Reggie ricada sulle parti intime di Doug per una resa dei conti, ve lo garantiamo, esplosiva e galvanizzante, accompagnata - pensate un po' - da Wrecking Ball di Miley Cyrus. Nel suo genere, Doggy Style è un film che funziona, al netto degli eccessi e al netto del joke a tutti i costi, che potrebbe far perdere al film una certa spontaneità, o una certa naturalezza (per non parlare del doppiaggio italiano, che fa perdere slang e inflessioni). Non si ride mai fino alle lacrime (ma la risata è soggettiva), piuttosto si sorride bonariamente, sospesi tra il divertimento e l'incredulità. Alla fine, Doggy Style è da intendere come se fosse una favola. Una favola sboccata, intemperante e scurrile; una favola per adulti, per chi crede in una giustizia divina, e per chi ama i cani. Perché loro sì, dimostrano ancora una volta di avere un cuore grande. Come quello che ha il bizzarro (e inaspettatamente piacevole) film di Josh Greenbaum.

Conclusioni

Lo abbiamo scritto nella nostra recensione: Doggy Style, nella sua estrema scorrettezza e volgarità, è un favola per adulti che mischia il valore dell'amicizia, il road movie, e l'amore puro dei cani. Più sorrisi che risate, ma dietro il turpiloquio c'è un film di cuore grande e di grandi sentimenti, che esplodono in un galvanizzante finale. Doppiaggio italiano non sempre all'altezza.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • I quattro cani protagonisti!
  • Ottima premessa.
  • Il valore del road movie.
  • Un bel finale.

Cosa non va

  • Il doppiaggio italiano.
  • Un film eccessivo, che non si trattiene: potrebbe urtare la sensibilità.