De Maria e Ferrari su Amatemi

Dopo Hotel Paura e la prima serie di Distretto di Polizia, tornano a lavorare insieme Renato De Maria e Isabella Ferrari, per raccontare la storia di una donna che ritrova la voglia di vivere tra le lenzuola dei letti dei suoi amanti.

Le sale si svuotano, ma il cinema italiano non va in vacanza e sforna un film dietro l'altro. Dopo Hotel Paura e la prima serie di Distretto di Polizia, tornano a lavorare insieme Renato De Maria e Isabella Ferrari, affiatata coppia nel lavoro e nella vita, che in Amatemi raccontano, l'uno dietro la macchina da presa e l'altra da protagonista, la storia di una donna che, dopo essere stata abbandonata dal marito, ritrova la voglia di vivere tra le lenzuola dei letti dei suoi amanti.

De Maria, cosa l'ha spinta a fare questo film? Renato De Maria: Sono stati molti gli stimoli. Innanzitutto, avevo voglia di tornare a lavorare con Isabella e poi volevo fare un film di donne, partendo dalle esperienze che mi hanno raccontato alcune amiche. La vera esigenza era provare a raccontare la storia di una donna nella post-modernità. Volevo inoltre fare un film di non-luoghi, di una città espansa nella quale la vita si dipana lungo le arterie e dove il mondo si guarda attraverso il cristallo del finestrino della macchina o delle vetrine dei negozi.

Qual è la modernità di cui parla? Renato De Maria: Dopo l'Aids e con la deformazione architettonica della città i rapporti umani sono cambiati. La modernità di questa donna sta nel suo coraggio di uscire fuori e incontrare gli altri. Volevo riflettere sulla fuoriuscita dal dolore. Ci sono persone che non escono mai dal lutto e altre, come quella che racconto nel film, che ci riescono. Potevamo fare un film solo sull'abbandono, abbiamo voluto fosse un augurio. Spero che il pubblico uscendo dal cinema provi un senso di leggerezza.

Quali sono stati i suoi riferimenti cinematografici nella realizzazione del film? Renato De Maria: Sicuramente La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, e poi L'uomo che amava le donne di Truffaut e Deserto Rosso di Antonioni.

Come mai la scelta di una doppia voce fuori campo? Renato De Maria: Da un lato Nina rivela i propri pensieri, il proprio racconto intimo, dall'altro c'è il suo lavoro di speaker nel centro commerciale. Questo doppio registro racconta la trasformazione del personaggio, c'è un passaggio da una chiusura a un'apertura, dalla voce che riflette sul proprio dolore a quella che da consigli agli altri.

Un film di donne scritto da due uomini. Avete incontrato particolari difficoltà nella fase di scrittura? Renato De Maria: All'inizio ci siamo posti il problema, ma ci è sembrato che in fondo questo fosse solo un problema pregiudiziale e poi il soggetto è scritto da una donna, Doriana Leondeff. Ci sono tante belle storie di uomini scritte da donne e quindi non vedo perché un uomo non possa scrivere dell'universo femminile. Per prepararmi a questo film non ho fatto altro che leggere le rubriche femminili e la posta delle lettrici ai quotidiani.

Signora Ferrari, è intervenuta in qualche modo nella stesura della sceneggiatura? Isabella Ferrari: Non mi piace mettere bocca nella scrittura di un film, preferisco buttarmi col mio istinto in quello che devo preparare, ma in questo caso ho suggerito che nel percorso del mio personaggio ci fosse una donna. Nina rompe la barriera della solitudine da sola, ma piaceva l'idea di una donna che le offre il suo aiuto.

Il film suggerisce l'idea del corpo quale strada verso l'emancipazione. Può essere davvero così? Isabella Ferrari: Nina finisce a letto con vari uomini nel corso del film, ma non sono solo incontri di sesso. Ognuno le lascia qualcosa e lei attraverso di loro scopre se stessa.

Che effetto le fa tornare al cinema dopo tanti successi televisivi? Isabella Ferrari: Erano cinque anni che mancavo dal grande schermo e questa cosa che mi faceva stare in pena ogni giorno. Poi Renato mi ha proposto questo splendido personaggio che racconta una trasformazione e un'evoluzione. Io che ho interpretato sempre personaggi a tinte drammatiche molto forti ero attratta dalla possibilità di sperimentare la leggerezza che contraddistingue la seconda parte di Amatemi, ma allo stesso tempo ero molto spaventata perché quel modo di essere non mi apparteneva. Non mi è mai successo di comportarmi come il mio personaggio del film, ma forse è per via del mio insegnamento cattolico. L'idea di dare un po' di morbidezza alla nostra vita partendo da un sorriso e bastarsi è la cosa che più mi ha dato come donna.