Catherine Hardwicke racconta Thirteen

Abbiamo incontrato nella Capitale la regista del film con la giovanissima e talentuosa Evan Rachel Wood e la sembre bravissima Holly Hunter.

Thirteen - Tredici anni è un film che racconta i traumi, gli aneliti e la confusione di un'età sempre più sottoposta a pressioni e difficile da gestire, per i ragazzi e per i loro genitori. Ce ne parla la regista Catherine Hardwicke, che del film ha firmato anche la sceneggiatura insieme alla giovanissima co-protagonista Nikki Reed.

Sapere che Lei ha scritto la sceneggiatura di questo film con una tredicenne dà sicuramente una credibilità ed una autenticità maggiori a quel che abbiamo visto, non crede?

Catherine Hardwicke: Conosco Nikki sin da quando aveva 5 anni perché sono stata insieme a suo padre per un po' di tempo, le volevo e le voglio molto bene così come a suo fratello, e la consideravo sin dall'epoca una ragazzina simpatica e creativa. Improvvisamente dalla sera alla mattina quando aveva più o meno 13 anni qualcosa è cambiato dentro di lei ed ha incominciato a sembrare una ragazza di 18 anni. A questo suo sviluppo fisico si accompagnò anche una profonda crisi esistenziale, era sempre molto arrabbiata con tutti i suoi familiari e anche con se stessa, ossessionata dal suo aspetto esteriore, pensate che si alzava alle 4 del mattino per essere completamente a posto col trucco e il vestiario per andare a scuola perfetta e stiamo parlando di una ragazza di seconda media. Non leggeva mai niente, non aveva più interessi ma guardava solo e sempre le figure delle riviste.

Come è nata l'idea di realizzare questo suo primo film da regista con lei?

Dopo questo cambiamento i genitori non sapevano più cosa fare e come raggiungerla mentre con me la ragazza si apriva e mi permetteva di starle vicina; ero per lei ancora abbastanza interessante da portarmi con lei e le sue amiche a fare shopping. Insomma cercavo con loro di fare tutto quello che ritenevo potesse essere costruttivo e che potesse aumentare l'autostima: musei, leggere libri, arrampicate sulle rocce o altro. Tra tutte queste cose venne fuori che a lei piaceva recitare.

Ci racconta come ha lavorato con questa ragazza?

Prendemmo la cosa da subito molto seriamente, le feci leggere un libro un classico che si chiama Rispetto per la recitazione e le feci prendere delle lezioni di recitazioni con un'insegnante, cominciai a girare con la mia camera digitale dei piccoli filmati con lei protagonista. Ad un certo punto però mi resi conto che all'epoca non c'erano dei ruoli interessanti per una ragazzina 13enne e per cui abbiamo preso la decisione di scrivere una nostra storia. All'inizio l'avevo pensata come una teen-comedy di gruppo un film corale ma man mano che Nikki ed i suoi amici ci davano dei dettagli di come parlano agiscono e si comportano nella quotidianità mi sono resa conto che era più opportuno realizzare un film 'vero' su quel che realmente succede ai ragazzi che si avvicinano a quell'età. L'elemento comedy è venuto subito meno. Ho parlato a questo punto con sua madre e i suoi amici un po' più grandi, ho organizzato per loro feste che duravano anche per tutta la notte con 5-10 ragazze in casa mia che mi facessero capire meglio cosa succede alle loro feste; ho detto a Nikki che avevamo solo i 6 giorni delle vacanze di Natale per scrivere la sceneggiatura insieme e ci siamo messe al computer e man mano che scrivevamo le scene le interpretavamo sul momento in tempo reale, capitava che mentre facevamo questo le squillava il cellulare e stava lì tre ore a parlare mentre io la invitavo a tagliar corto perché il tempo era poco. Poi capitava che metteva giù il telefono e scoppiava a piangere, qualunque fosse il motivo noi abbiamo usato tutto questo nel film, tutta l'energia che aveva in quei momenti di vita reale l'abbiamo inserita nella nostra sceneggiatura.

Lei si sente di esser stata privilegiata dal fatto di non essere la vera madre di questa ragazza e da fuori è riuscita ad elaborare una specie di codice di comportamento o dei consigli per i genitori che si trovano in questa situazione?

Pensiamo un attimo al passato, prima non solo c'erano le famiglie più numerose ma c'era la tribù, la società era costruita a strati allargati e quindi se non bastavano i genitori c'erano altri adulti a cui i ragazzi potevano rivolgersi se non c'erano i genitori presenti. Oggi invece siamo spesso nella situazione opposta in cui a volte non ci sono nemmeno entrambi i genitori generalmente c'è solo la madre e quindi questo crea un problema, va bene chiunque, la zia, la vicina di casa, un'insegnante purché i ragazzi abbiano la possibilità di spostare su quest'altra persona un rapporto di simpatia o empatia che prima aveva con la madre che adesso si rigetta e che non ci può più essere, perché la mamma non è mai "cool" tutto quello che fa è sbagliato perché è lei a farlo.

Come possono, secondo Lei, reagire a questo cambiamento i genitori? In che modo possono intervenire?

Cosa può fare una madre? Esserci, ascoltare, anche davanti a rifiuti e ai tanti 'no' interessarsi alla scuola a chiedere sulla sua vita e quello che vuole fare, scoprire quello che interessa fare alla figlia, le attività fisiche che le piacciono di più e che possano valorizzare il suo corpo. La cosa da tenere presente è che questo è un periodo della vita che va attraversato e che penso che ognuno abbia attraversato nella propria vita e che il momento del distacco necessario dal genitore è una legge naturale della vita, l'uomo nasce per mettersi alla prova e deve avvenire prima o poi. C'è una citazione secondo la quale 'ogni generazione è convinta di essere l'unica ad esser riuscita a sopravvivere all'adolescenza'.
Quali sono secondo Lei le cause della nascita di una 'girl culture'?

Credo che sia essenzialmente un problema di difficoltà di equilibrare ciò che ogni giorno la cultura delle riviste e dei media e che la loro mamma suggeriscono di fare. La bellezza bombarda la loro mente in continuazione con spot, video musicali, giornali in cui sono tutte bellissime bionde e magrissime come Britney Spears o Christina Aguilera. Poi tornano a casa e la mamma magari dice loro che sono belle dentro. Credo che la 'girl culture' nasca da questo contrasto, da ciò che viene chiesto loro da fuori e ciò che si richiede dentro l'animo.

Oltre al contatto stretto con queste ragazze Lei ha preso altri spunti e si è preoccupata di fare anche delle verifiche oppure quel che è stato girato è venuto così di getto e si è accontentata di quel che aveva vissuto?

Tre o quattro mesi prima mentre stavamo solo pensando all'idea del film e non avevamo ancora scritto nulla io avevo avuto almeno una cinquantina di esperienze con Nikki e con alcune amiche nonché con la figlia di una mia carissima amica che era anche lei coetanea di Nikki e che proveniva da un background socio-economico molto più elevato di quello di Nikki proprio per avere una sorta di metro di paragone sia con loro che con i genitori. Sono stata anche in alcune scuole in cui si sono affrontati i temi e problemi dell'adolescenza sia con i ragazzi che con i loro insegnanti e poi dopo aver girato il film c'è stato l'imprimatur dell'associazione di psicoanalisi di New York nonché di quella di neuropsichiatria di Los Angeles e di vari psicoterapeuti privati i quali ci hanno detto che quel che noi avevamo fatto risultava adeguato e valido per una grossa fetta dei ragazzi di quell'età.