Campioni, la recensione: la diversità secondo Bobby Farrelly

La recensione di Campioni: nel nuovo film, al cinema dal 31 maggio, Bobby Farrelly balla da solo. Come il fratello Peter, anche Bobby si sposta verso un tipo di cinema più maturo, ma la sua non è una svolta netta, e mantiene ancora quell'irriverenza dei vecchi Farrelly Brothers.

Campioni, la recensione: la diversità secondo Bobby Farrelly

Il caro, vecchio Woody Harrelson. Che piacere rivederlo sul grande schermo. Ma soprattutto il caro, vecchio, Bobby Farrelly, già nella premiata ditta Fratelli Farrelly, che tante risate ci hanno regalato a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila con Tutti pazzi per Mary, Io, me & Irene, Amore a prima svista. È un piacere ritrovare anche lui. Come vi raccontiamo nella recensione di Campioni, in uscita al cinema il 31 maggio, Bobby Farrelly balla da solo, dopo che anche il fratello Peter lo ha fatto, con il film da Oscar Green Book. Come il fratello, anche Bobby Farrelly qui si sposta verso un tipo di cinema più maturo. Ma la sua non è una svolta netta come quella di Peter. Bobby mantiene ancora quell'irriverenza dei vecchi Farrelly Brothers, che dentro nascondeva tanta sensibilità. Guitto, ma con un cuore. Quello che i due fratelli, nascosto tra mille gag, hanno sempre avuto.

Dalla J League alla squadra di giovani adulti con disabilità intellettive

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Champions: un primo piano di Woody Harrelson

Marcus Marakovich (Woody Harrelson) è il classico loser, il classico perdente di tanti film americani. È il coach di una squadra di J League, non certo di NBA, e non è anche il primo coach, ma il vice. Il primo allenatore non ascolta mai Marcus, nonostante di basket ne capisca. Se non è arrivato in alto, pare, sia dovuto anche al suo carattere non facile. Ed è così. Durante una partita, a pochi secondi dalla fine, spintona il coach che non vuole ascoltare un suo schema. Licenziato, non trova di meglio che farsi beccare in guida in stato d'ebbrezza dalla polizia. Il giudice decide di commutare la pena in 90 giorni di servizi sociali: sarà il coach di una squadra di basket di giovani adulti con disabilità intellettive, i Friends. "È impossibile allenare quei ragazzi". "Impossibile non è un'evidenza, è un'opinione". È il dialogo tra Marcus e il gestore del centro. Come potete immaginare, nel vedremo delle belle.

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Un nuovo modo di vedere la diversità

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Campioni: una sequenza del film

Campioni è uno di quei film che segnano un nuovo modo di vedere la diversità. Senza toni pietistici, senza buonismi, senza ipocrisie. In Italia lo abbiamo già fatto e bene. Lo hanno fatto soprattutto sceneggiatori come Fabio Bonifacci (Si può fare) e Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks Out, Indivisibili), ma anche Federico Biondi (Dafne). La chiave è trattare questi ragazzi come persone "normali" (e già usare questo termine non ci piace), con i loro pregi, i loro difetti. Così i ragazzi di Campioni sono estrosi, dispettosi, sboccati. C'è che chi parla continuamente di sesso, chi fa scherzi da caserma, chi non manda a dire le cose per mettere in riga chi se lo merita, anche il coach (è la spassosa Cosentino). Sì, questi ragazzi sono irresistibili.

L'apparenza e il suo ribaltamento

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Campioni: una foto del film

Bobby Farrelly, come si può immaginare, gioca subito con un classico dei film di questo tipo, che è l'apparenza e il suo ribaltamento. Ci presenta i ragazzi come un gruppo di giocatori improbabili, e forse lo sono davvero. Ma poco dopo ci fa raccontare le loro vite, e ci fa vedere che sono bravissimi nel loro lavoro, o ad attraversare tutta la città in monopattino per godersi quelle due ore di sport, o a parlare quattro lingue. È una cosa importante da fare in questi casi. Perché va detto che questi ragazzi possono lavorare, avere una vita privata, fare sport, fare tante cose. Possono fare tutto, o quasi.

I protagonisti del film sono doppiati da ragazzi con le stesse specificità

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Campioni: un'inquadratura del film

Ma la carta vincente di Campioni, al di là della storia (che viene da un film spagnolo, Campeones, conosciuto in Italia con il titolo Non ci resta che vincere) è che a interpretare questi campioni di basket così speciali ci sono dei veri ragazzi con disabilità, che portano nel film la loro carica umana, la loro carica di simpatia e quell'elemento di verità e spontaneità che sarebbe difficile riprodurre. Come faceva Benigni in Johnny Stecchino e come ha fatto Federico Biondi con Dafne, anche Bobby Farrelly porta sullo schermo un protagonista con Sindrome di Down, Johnny, trattandolo con cura e allo stesso tempo lasciando liberare la sua energia. Ma è ancora più geniale la scelta di Universal Italia che, per l'edizione italiana, ha scelto di far doppiare i protagonisti del film a dei ragazzi con le stesse specificità dei personaggi. All'anteprima stampa li abbiamo conosciuti, li abbiamo applauditi, abbiamo stretto loro la mano. Non è una scelta di inclusività fine a se stessa, ma una scelta artistica che è perfettamente funzionale al film. Il doppiaggio funziona a meraviglia: non sentiamo voci storpiate, che tentano di imitare quelle degli attori originali, ma delle voci credibili.

Woody Harrelson e un romanzo di formazione al contrario

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Campioni: un'immagine del film

Ci sono gli irresistibili ragazzi di Friends, e poi c'è il loro controcampo. Che è Marcus, interpretato da quel Woody Harrelson che ha una faccia che come la vuoi mettere sta bene ovunque. Dal suo punto di vista Campioni è uno di quei "romanzi di formazione al contrario", una di quelle storie in cui un adulto, ancora immaturo, arriva in un posto corredato da cinismo ed egoismo e finisce per essere coinvolto. Uno che dovrebbe insegnare ma non ne ha voglia, e che alla fine non solo insegna qualcosa, ma finisce per imparare ancora di più rispetto a quello che insegna. Marcus è come il Dewey Finn di Jack Black in School Of Rock e il Billy Bob Thornton di Che botte se incontri gli orsi. Non è un caso che siamo due film (nel secondo caso parliamo del remake) girati da Richard Linklater. Ed è proprio al cinema di Linklater, quello più leggero e non quello romantico e filosofico, che somiglia Campioni.

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Il senso del cinema che Peter e Bobby Farrelly facevano insieme

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Locandina di Campioni

Campioni ha la giusta miscela di commedia e dramma, di corretto e scorretto, di edificante e di spassoso. Ci sono i vecchi fratelli Farrelly e c'è anche un nuovo modo di fare cinema, meno estremo nelle gag, meno teso alla ricerca del politicamente scorretto e del demenziale, che era la loro cifra. Ma che, in fondo, ha lo stesso senso del cinema che Peter e Bobby Farrelly facevano insieme. Dietro alle loro scelte iperboliche, c'era sempre un'attenzione dedicata alla disabilità: pensiamo a Io, me & Irene, Amore a prima svista, Fratelli per la pelle. Qui il discorso sulla diversità è semplicemente più diretto, raccontato con un linguaggio (relativamente) più tradizionale. Insomma, Bobby ci parla in modo nuovo. Ma è sempre uno dei cari Fratelli Farrelly che tanto amiamo.

Conclusioni

Come vi raccontiamo nella recensione di Campioni, Bobby Farrelly si sposta verso un tipo di cinema apparentemente più "maturo", ma mantiene ancora quell'irriverenza dei vecchi Farrelly Brothers, che dentro nascondeva tanta sensibilità. Guitto, ma con un cuore. Quello che i due fratelli, nascosto tra mille gag, hanno sempre avuto.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Campioni ha la giusta miscela di commedia e dramma, di corretto e scorretto, di edificante e di spassoso.
  • Ci sono i vecchi Fratelli Farrelly, anche se è un cinema meno estremo nelle gag.
  • La scelta di far doppiare i protagonisti a ragazzi con le stesse specificità non è solo inclusiva, ma artisticamente azzeccata.

Cosa non va

  • A qualcuno potrebbero mancare i vecchi Farrelly, quelli più scorretti...