Recensione Casomai (2002)

E' molto meno banale e leggero di quello che potrebbe sembrare l'ultimo film di Alessandro D'Alatri, e soprattutto non si tratta del classico film italiano sui trentenni in crisi che tanto vanno di moda in questo periodo.

Analisi di una crisi di coppia

E' molto meno banale e leggero di quello che potrebbe sembrare l'ultimo film di Alessandro D'Alatri, e soprattutto non si tratta del classico film italiano sui trentenni in crisi che tanto vanno di moda in questo periodo. Non perché la crisi di coppia, e in particolare quella post-matrimoniale, non sia uno dei temi centrali della pellicola, ma il modo in cui questo delicato argomento viene trattato, rappresenta senza dubbio una boccata d'aria fresca in un mercato troppo segnato dalle banalità "Mucciniane".

Stefania e Tommaso sono due giovani innamorati che si rivolgono ad un giovane parroco allo scopo di ottenere una cerimonia di matrimonio classica così da far contenti i parenti ma anche non scontata. Il prete li accontenterà offrendo a tutti gli ospiti un sermone sicuramente poco tradizionale, in cui i due futuri sposi si trovano a dover giurare di "amarsi e onorarsi per tutti i giorni della loro vita, o perlomeno quasi tutti. Sapendo che casomai c'è sempre una porta aperta alle loro spalle". Il comportamento poco ortodosso del simpatico sacerdote sarà soltanto una scusa per rivivere attraverso dei flashback la loro storia e soprattutto immaginare il destino del loro rapporto. Ed è così che se la prima parte del film ci mostra una coppia affiatata, deliziosa e quasi perfetta, nella seconda metà dovremo scontrarci con i piccoli grandi problemi di tutti i giorni: lavoro, famiglia, problemi finanziari, tanti elementi che finiranno per minare e infine distruggere il loro ben collaudata rapporto.

Fin qui nulla di nuovo, ma il regista non si limita a mostrarci i problemi che tutti noi ben conosciamo, ma opta per una scelta molto più coraggiosa e, se vogliamo, più intelligente: D'Alatri sceglie di porsi delle domande sul perché nella società attuale vi siano il "14 % di coppie separate, il 58% di coppie che si sono tradite e il 17% di coppie che saranno infelici per tutta la vita", e le sue risposte sono ancora più coraggiose. La colpa è della società, degli amici, dei parenti; perché se non è possibile che due innamorati smettano improvvisamente di provare quei sentimenti così forti, vuol dire che devono esservi dei fattori esterni, subdoli perchè apparentemente innocui, ad intervenire e a sfasciare per sempre anche le relazioni più idilliache. Questi fattori sono tutte le interferenze che una coppia inevitabilmente deve subire: quelle lavorative, così pressanti da non lasciare più spazio al privato; quelle degli amici che ti rinfacciano di non avere più tempo per loro e di essere infelice, piantandoti il tarlo del dubbio prima ancora che tu possa anche solo pensare di esserlo; quelle dei luoghi comuni come il pensare che la monogamia debba essere necessariamente una costrizione, o che il matrimonio possa non durare per sempre, tanto c'è sempre il divorzio che in fondo non è poi così male, ha i suoi lati positivi e i suoi vantaggi, anche per un eventuale bambino.

La scelta del regista è quella di non condannare alcuno di questi atteggiamenti, se non alla fine, quando siamo ormai tornati in chiesa e ci siamo resi conto che tutto quello che avevamo visto non era un altro che una possibilità, una prospettiva di futuro per i due protagonisti, ma, come fa notare anche il prete al suo pubblico di invitati, tutto è sembrato così realistico, tutto così naturale anche se si trattava solo di un racconto. Ed è così anche per noi spettatori: abbiamo vissuto questo lento ma graduale smantellarsi di una coppia in prima persona, provando angoscia e risentimento, solitudine e malinconia, ma senza mai pensare che non potesse essere vero, che fosse troppo assurdo e repentino per essere vero. Questo è quello a cui la società ci ha portato, questo è quello a cui siamo abituati, perché continuamente annebbiati da false risposte, falsi moralismi e false realtà: un lungo spot pubblicitario che ci bombarda le menti ogni singolo giorno della nostra vita, inducendo in noi paure che normalmente non conosceremmo, costringendoci a porre domande che normalmente non ci passerebbero per il cervello. E D'Alatri da ex-pubblicitario sa bene come funzionano questi meccanismi e costruisce tutto il suo film in questo modo, dirigendolo in modo frenetico, accavallando voci e pensieri, volti ed immagini, trasportandoci in un vorticoso mondo fatto di banalità e luoghi comuni che travolgono i due, bravi, attori Stefania Rocca e Fabio Volo.

Il regista, qui anche sceneggiatore, non conosce mezzi termini: sperimenta, a volte in maniera anche eccessiva ma comunque da apprezzare, da dietro la macchina da presa, eccede nei simbolismi della sua sceneggiatura (la professione di Tommaso è, guarda un po', proprio l'art director in campo pubblicitario, mentre Stefania è una truccatrice di moda e lo scenario è la frenetica "Milano da bere") e soprattutto non si tira indietro quando si tratta di lanciare provocazioni, come quando il solito prete chiede agli stupefatti presenti se non è forse più comodo oggigiorno avere una coppia divisa, se non sia meglio avere due entità familiari invece di una e di conseguenza "due case, due automobili, due lavatrici, due dentifrici...tutto doppio"; rilancia la sua accusa di intromissione e propone a tutti i presenti di giurare fedeltà insieme a due neosposi, perché in fondo il loro rapporto riguarderà anche tutti loro, amici, parenti, colleghi di lavoro, e quando costoro si renderanno conto di non poter giurare o promettere nulla perché al di fuori del loro controllo, il sacerdote in un'ultima paradossale immagine invita tutti fuori dalla chiesa. Il matrimonio sarà celebrato, ma solo per i due sposi: se il matrimonio è effettivamente una cosa privata, dovranno essere soltanto loro due a deciderne le sorti, senza intromissioni esterne. E quando le campane suonano a festa il futuro è ancora da scrivere.

Movieplayer.it

3.0/5