Adagio, Stefano Sollima chiude la sua trilogia su Roma con la speranza

"Ho fatto un film pieno di speranza: per una volta!": intervista a Stefano Sollima, Pierfrancesco Favino e Gianmarco Franchini, regista e protagonisti di Adagio. In sala dal 14 dicembre.

Adagio, Stefano Sollima chiude la sua trilogia su Roma con la speranza

Dopo ACAB - All Cops Are Bastards e Suburra, con Adagio Stefano Sollima chiude una sua ideale trilogia su Roma. È lo stesso regista a dirlo: ci voleva l'esperienza americana fatta con Soldado e Senza rimorso per riportarlo in una capitale ormai in fiamme.

Stefano Sollima
Adagio: il regista Stefano Sollima sul set

Presentato in concorso a Venezia 2023, Adagio è in sala dal 14 dicembre e presenta una Roma malsana, in preda di un caldo malato, tanto da vedere cenere comparire nel cielo. Se Suburra finiva con l'acqua, qui tutto è indurito dal fuoco. La trama di Adagio segue Manuel (Gianmarco Franchini, esordiente), ragazzo ricattato dalla polizia che cerca aiuto in vecchi criminali ormai ai margini.

È Polniuman (Valerio Mastandrea) a consigliargli di andare a chiedere aiuto a Cammello, un Pierfrancesco Favino completamente trasformato. Lo scontro tra la vecchia e la nuova generazione è uno dei punti centrali del film e, benché come spesso accade nei suoi film, per i personaggi non ci sia redenzione, Sollima qui ha voluto mettere speranza: "Mi sembra addirittura un film sentimentale, pieno di speranza. Per una volta! Cammello è aperto nei confronti di Manuel, non lo giudica. È come se tutti i personaggi facessero un gigantesco passo indietro per far vivere le nuove generazioni."

Adagio: intervista a Stefano Sollima, Pierfrancesco Favino e Gianmarco Franchini

Il contrasto tra la vecchia e la nuova generazione si riflette anche nelle scelte musicali: da una parte Califano, dall'altra la trap. Le generazioni diverse non riescono mai a capirsi perché non amano mai la stessa musica?

Adagio, la recensione: la Roma distopica di Stefano Sollima

Per Sollima: "Non si capiscono per definizione, ed è giusto che sia così. È la natura stessa dell'evoluzione. Il nuovo non può capire il vecchio e viceversa. È fisiologico. Mi ricordo che io sentivo sempre i Sex Pistols e mio padre una volta mi disse: capisco tutto, però ti prego, ti do io soldi comprati un altro disco. È normale non capirsi. Secondo me la bellezza, e la sfida, sarebbe non provarci neanche, ma fare una sorta di atto di fede rispetto alle nuove generazioni."