Elisabetta Rocchetti presenta Diciottanni - Il mondo ai miei piedi

L'attrice romana, al suo esordio nella regia di un lungometraggio, ha presentato il suo lavoro alla stampa romana, svelandone la genesi e le molte traversie produttive.

E' un peccato la scarsa riuscita artistica, dovuta principalmente a uno script traballante, di questo Diciottanni - Il mondo ai miei piedi, opera prima dell'attrice Elisabetta Rocchetti. Un peccato perché, stando a quanto dichiarato dalla stessa regista e dal cast, l'impegno realizzativo non è comunque mancato, nonostante ristrettezze di budget evidenti ed ammesse dagli stessi protagonisti, e anche perché l'idea in sé (uno sguardo diverso, un po' più cinico rispetto alla media del nostro cinema, sul mondo degli adolescenti italiani) era sicuramente interessante. Nonostante le buone premesse, il film cade però su una certa mancanza di incisività e di spessore nei personaggi, oltre a soffrire di scelte registiche a tratti inutilmente modaiole, laddove il carattere del soggetto avrebbe invece richiesto l'essenzialità.
L'attrice-regista, nella conferenza stampa tenutasi stamattina a Roma, ha comunque risposto, insieme agli attori, alle domande dei giornalisti intervenuti, parlando della genesi del film e delle sue molte traversie produttive.

Come si imposta un'opera prima cercando volti nuovi, e lavorando contemporaneamente insieme ad amici?
Elisabetta Rocchetti: Io avevo già provato ad ottenere un finanziamento dal ministero, per questo film, e il cast più o meno era lo stesso. Nella stesura iniziale dello script, il mio ruolo doveva essere quello di Monica. Il ministero, però, mi bocciò il film perché lo ritenne troppo "spinto", esplicito. Così, ho deciso di radunare le persone che avevo coinvolto e ho chiesto loro se avrebbero voluto fare il film lo stesso, anche se in condizioni di ristrettezze economiche. Hanno accettato e alla fine ci siamo aiutati tutti, perché un po' tutti sentivamo il film come il nostro lavoro, come un'opera corale.

Sullo schermo ci sono un'Italia e una Roma come raramente si sono viste al cinema, e anche una visione insolita dell'adolescenza. Quanto c'è, nel film, di materiale tratto dalla realtà, da storie magari viste in giro e rielaborate?
Elisabetta Rocchetti: Io, quando decido di raccontare una storia, cerco sempre di essere originale: l'ultima cosa che volevo fare era il classico film alla Moccia. Ho adottato uno sguardo particolare, ho messo molto di autobiografico nello sbandamento del protagonista, che a quell'età è stato anche il mio, ma soprattutto mi sono ispirata alla storia di un ragazzo di 18 anni che conoscevo, un tipo molto sicuro, più maturo di me, che era in causa con uno zio che gli aveva sottratto gli averi. Le storie con donne adulte, invece, sono puro frutto di fantasia.

Quanto hanno contribuito gli attori alla stesura dei dialoghi, in cui si coglie un costante tentativo di verosimiglianza?
Marco Rulli: Elisabetta ci ha sempre dato la possibilità di dire la nostra, sul set, ha sempre rispettato la nostra individualità: abbiamo potuto contribuire molto alla definizione dei personaggi e dei dialoghi.
Rosa Pianeta: Nel cinema si parla spesso della confusione dei giovani, ma mai di quella degli adulti. Qui si vedono donne adulte che hanno una relazione con un diciottenne pensando sia normale, ed è questa la cosa che colpisce di più. La nostra è davvero una società confusa, nel suo complesso.

E' interessante anche una totale assenza di giudizio morale: non è un film che punta a fare scandalo. Ci si domanda perché sia stato respinto dal ministero...
Elisabetta Rocchetti: 4-5 anni fa era stato l'Istituto Luce a respingerlo, poi è stata la volta del ministero. I motivi non li ho mai capiti: io non volevo fare un film erotico, volevo principalmente far vedere delle persone sole, che è un po' la caratteristica che accomuna tutti i personaggi. Non li giudico anche per questo: la solitudine che vivono non dico mi faccia provare pena per loro, ma almeno una certa comprensione.
Alessia Barela: Specie nei personaggi femminili, è interessante non soltanto la solitudine, ma anche la difficoltà a rapportarsi con il tempo, con l'idea di stare invecchiando. Queste donne vedono la gioventù che sfugge loro, e stanno con un ragazzo adolescente per sfuggire alle responsabilità.
Rosa Pianeta: Per il mio personaggio si tratta anche di una sfida: ho un marito che pensa sia normale andare con le ragazzine, allora perché non dovrei fare lo stesso anch'io? In tutto questo c'è un'amoralità di fondo.

Il personaggio dello zio interpretato da G. Max è quello più estremo, ma per certi versi anche quello più scontato...
G. Max: Io vengo da un ambiente come l'hip-hop in cui l'unica cosa che è richiesta è essere veri, spontanei. Nel cinema per certi versi è l'opposto, si deve recitare, trasformarsi in ciò che non si è. Interpretare questo personaggio comunque è stato divertente; nel film, più in generale, trovo ci sia una certa purezza, non ci sono giudizi morali, le cose accadono semplicemente perché devono accadere.

Monica Cervini, il suo personaggio è quello di una donna che si limita a subire?
Monica Cervini: Sì, subisce ma ha una sorta di riscatto alla fine, quando viene fuori tutto il disgusto che prova verso suo marito, alla fine ha questo scatto e riesce a lasciarlo. Certo, quest'atto non risolve la sua situazione, ma è meglio di niente.

E' appena passato il 25 aprile. Nel film, in una scena in cui i ragazzi studiano insieme, c'è una frase in cui si fa riferimento alla Repubblica di Salò: "Sì, Salò, Mussolini... quella roba lì." Pensa quindi che i diciottenni non sappiano niente della storia recente?
Elisabetta Rocchetti: In realtà sì, quella scena voleva rappresentare un po' una denuncia, ma non ai ragazzi quanto al sistema scolastico italiano. Si tende spesso a far studiare le nozioni a memoria, senza nessun approfondimento.
Marco Rulli: Quella scena è molto veritiera. Si fa riferimento anche al Congresso di Vienna, e quando la discussione tocca l'antico regime, i ragazzi non hanno idea di cosa questo fosse. "Non lo so, basta che gli dici che veniva ripristinato l'antico regime", dicono. Le nozioni, a scuola, vengono imparate a memoria per poi essere rapidamente dimenticate.

Cosa significa avere 18 anni oggi?
Elisabetta Rocchetti: E' un'età critica per tutti, un'età di passaggio. I problemi sono gli stessi per tutte le generazioni; la differenza, oggi, è rappresentata da Internet, che probabilmente ha reso i ragazzi più consapevoli, almeno rispetto a quelli della mia generazione.

Rulli, il suo è un personaggio più complesso di quelli che ha interpretato finora. Come l'ha affrontato?
Marco Rulli: In effetti questo è il mio primo ruolo drammatico, ed è un ruolo molto complesso. E' stato difficile rendere un personaggio abbastanza diverso da me. Sono partito dalle cose che abbiamo in comune, comunque: a cominciare da una certa malinconia di fondo.

Rocchetti, per fare questo film ha avuto qualche riferimento cinematografico? Ha visto qualcuno dei classici che trattano il tema dell'adolescenza?
Elisabetta Rocchetti: Non ho avuto nessun riferimento particolare, visto che volevo sviluppare un mio stile. Piuttosto, credo di aver preso qualcosa dai registi con cui ho lavorato finora: in particolare da Matteo Garrone per lo spazio che dà all'improvvisazione, e dai fratelli Manetti (con cui ho lavorato in Piano 17) per la capacità di girare con un budget ridotto. A 20 anni sei come una spugna, assorbi tutto. Ma il mio scopo principale era avere un mio stile personale.

Nel film i protagonisti sono tutti benestanti, ma non si sa di preciso cosa facciano nella vita, perché stiano così bene economicamente. C'è quasi un sottobosco che sfugge a qualsiasi classificazione sociologica. Vi siete posti questo problema in fase di sceneggiatura?
Elisabetta Rocchetti: Uno dei motivi di questa scelta è che conosco un po' di più quelle realtà, ma paradossalmente ci sono stati motivi produttivi che ci hanno imposto questo tipo di scelta. Gli interni lussuosi sono stati il risultato di limitazioni di budget, quelli erano i luoghi che avevamo a disposizione e abbiamo dovuto girare lì. Ai fini del film, comunque, il motivo della ricchezza dei personaggi era in fondo secondario.

Iannitello, può dirci qualcosa sul suo personaggio?
Marco Iannitello: Si tratta di un ragazzo confuso, che ha i genitori separati e finisce per aggrapparsi al suo migliore amico ancor più che alla sua ragazza. Nonostante questo, viene tradito un po' da tutti.