Recensione Sono il numero quattro (2011)

Dopo 'Disturbia' ed 'Eagle eye' il regista D.J. Caruso continua le sue incursioni nel genere del thriller, stavolta declinato nel paranormale tra ammiccanti rimandi alla cultura pop, riusciti effetti speciali, una buona dose di umorismo da teen comedy e i volti giovani di promesse come Dianna Agron.

Paranormal People

Pianeta Terra. Quattro è un alieno quindicenne mimetizzato tra gli umani: vive "normalmente" la sua adolescenza fatta delle prime cotte e degli scontri con i bulli, ha un corpo statuario e la pelle abbronzata dal sole californiano, ha un'anima ribelle verso la figura paterna che vorrebbe limitarlo, mostra uno spiccato senso del bene al punto da difendere il più debole. A distinguerlo dai suoi coetanei sono la mancanza di un'identità fissa, l'impedimento a conciliarsi con le proprie lontane radici e la necessità di sfuggire ai Mogadorians, una banda di energumeni che gli dà misteriosamente la caccia. Oltre a lui alla distruzione del pianeta Lorien sono sopravvissuti solo altri otto bambini, tre dei quali scomparsi recentemente, e per sopravvivere, aiutato dal guerriero Hanri, dal goffo Sam e dal numero Sei, dovrà imparare presto a conoscere e utilizzare i suoi superpoteri.


Fin dalla frenetica e spettacolare scena iniziale l'avventurosa storia di formazione di Sono il numero quattro ci catapulta in un giovane universo fumettistico in cui a sostituire La guerra dei mondi è un'epica battaglia tra il bene e il male dal respiro universale e i protagonisti sono teneri supereroi alle prime armi. Tratto dall'omonimo bestseller di Pittacus Lore, alias del duo formato da James Frey e Jobie Hughes, l'adattamento di Alfred Gough e Miles Millar, rinomati sceneggiatori di Smallville e Spider-Man 2, e di Marti Noxon, tra gli autori di Buffy - L'ammazzavampiri, è il capitolo primo di un nuovo franchise targato Disney, pronta a lanciare sul grande schermo una mirabolante lega di sei personaggi dotati di superpoteri. Ambientato ai giorni nostri, come ci ricorda l'ossessiva presenza degli smart phone pronti a immortalare ogni evento e diffonderlo in rete, il film di D.J. Caruso è confezionato come uno sci-fi di ultima generazione, attento agli effetti speciali ma anche carico di una strepitosa leggerezza, sospeso in maniera calibrata tra l'iperbole dell'azione, l'umorismo sbarazzino e la componente sentimentale.

Avvalendosi delle scenografie dell'artista Tom Southwell (illustratore di Blade Runner) e della sapiente fotografia di Guillermo Navarro il film mette in scena abilmente la dialettica tra giusto e sbagliato nella netta dualità dell'immagine: l'oscurità e la piccola cittadina dell'Ohio diventano segno del pericolo e del dramma, il chiarore e l'assolata California quello dell'unione. L'importanza della fotografia viene anche efficientemente ricalcata dall'interno: affidato all'aggraziato personaggio di Sarah e alle sue Nikon, lo scatto diventa un riflesso metacinematografico funzionale al racconto e tutt'altro che ingenuo. Le scelte così contemporanee dell'esperto Caruso non appesantiscono mai il ritmo, ma vengono inglobate con coerenza ed equilibrio negli snodi dei protagonisti, che, liberi da orpelli estetici, possono portare avanti le loro esistenze e pulsioni giovanili a suon di dialoghi più imbarazzanti che imbarazzati.
D.J. Caruso continua a declinare il genere del thriller nelle sue varianti, proponendosi decisamente a un pubblico giovane e macinando con freschezza e vivacità i numerosi rimandi alla cultura pop-nerd. Se il popolare Disturbia era un giallo carico di suspense ed Eagle eye un action movie che maneggiava senza troppa cura un ingombrante filone della fantascienza, Sono il numero quattro rappresenta un euforico thriller paranormale che affonda con audacia il pedale sulla teen comedy più che sull'alta tensione. Arricchito dai riferimenti pop che conquisteranno i cuori degli adolescenti (e degli under anta), il film con le giovani promesse Alex Pettyfer, Dianna Agron (astro nascente di Glee), Teresa Palmer e Callan McAuliffe pesca a piene mani da fonti ammiccanti: da Nightmare a Twilight, da Michael Jackson ad Hannah Montana, da Dawson's Creek a Smallville, da Silver Surfer agli X-Men.
Il regista c'immerge con estrema naturalezza fra trascinanti colpi d'occhio cinefili e omaggi mai spocchiosi, come dimostrano la scena al mare tra il protagonista e la bella di turno in bikini, che riporta alla mente la trepidante scena cult de Lo squalo del suo maestro Steven Spielberg, e l'esplosione della casa alle spalle di una impavida Numero Sei in riconoscibile stile Michael Bay, non a caso tra i produttori della pellicola. Sparsi tra un'immagine e l'altra, citati esplicitamente dalle battute o omaggiati nei temi e nei simboli, i modelli iconici e narrativi, attentamente selezionati dal suo background, non risultano didascalici, ma emergono prepotentemente con un ottimo risultato: il citazionismo di Caruso solletica la conoscenza dello spettatore e lo diverte senza compiacerlo: Sono il numero quattro è, come le opere precedenti di Caruso, un film che riesce esattamente nei propri intenti. Emozionare poco. Divertire tanto.