Silvio Muccino ci porta in 'Un altro mondo'

Presentato a Roma Un altro mondo, il film diretto e interpretato da Silvio Muccino che racconta una storia importante di crescita alle prese con la diversità, con l'Africa, con i pochi ricordi di un padre che non ha mai conosciuto e con le prime grandi responsabilità della vita.

L'Africa è davvero Un altro mondo rispetto a quello che viviamo noi. E' il mondo della savana, delle bidonville, della violenza e della povertà di Nairobi, città che fa da sfondo alla storia che ci racconta Silvio Muccino in questo suo secondo film da regista che sarà nelle sale da mercoledì 22 dicembre distribuito in 300 copie da Universal Pictures. A tre anni da Parlami d'amore anche Muccino jr., che non ha voluto parlare in alcun modo del fratello maggiore durante la conferenza stampa (tra i due c'è una spaccatura che sembra divenuta irreparabile), ci racconta di un ragazzo che scontrandosi con il suo passato e col suo presente va alla ricerca della felicità per assicurare un futuro a se stesso e al fratellino che ha appena scoperto di avere. Nel film Silvio Muccino è Andrea, un ragazzo cresciuto senza l'affetto del padre, emigrato in Africa per lavorare come volontario nelle bidonville di Nairobi, e senza l'affetto della ricca e algida Cristina (interpretata da Greta Scacchi), una madre che lui non ha mai chiamato mamma e che non gli ha mai fatto mancare nulla a parte l'amore. Nel giorno del suo ventottesimo compleanno il ragazzo riceve una lettera da suo padre ricoverato all'ospedale della città e gravemente malato. Al suo arrivo in Africa Andrea scopre che suo padre si è improvvisamente aggravato ed è in coma ma scopre anche di avere un fratellino di otto anni, Charlie, nato da una relazione che il padre ha avuto con una donna africana anche lei deceduta. Il padre prima di morire lo ha nominato tutore legale del bambino, visto che è proprio Andrea l'unica persona al mondo che gli è rimasta e che può assicurare un futuro sereno al piccolo. Dopo un primo momento di sbandamento Andrea decide di portare con sé il piccolo in Italia e di iniziare a crescere insieme a lui.

Tratto dall'omonimo romanzo di Carla Vangelista, Un altro mondo è la delicata storia di un viaggio che fa cambiare al protagonista lo sguardo nei confronti della vita, un viaggio sentimentale di cui Silvio Muccino (regista, co-sceneggiatore e interprete principale del film) ci ha parlato stamattina durante la conferenza di presentazione cui hanno partecipato anche il bravissimo bambino prodigio Michael Rainey (che durante la conferenza ha definito Muccino "una persona veramente simpaticissima!"), la co-protagonista Isabella Ragonese insieme a Maya Sansa, Flavio Parenti e alla scrittrice e co-sceneggiatrice del film Carla Vangelista. Presenti in sala anche il dottor Gianfranco Morino dell'Onlus World Friends Amici del Mondo, che ha aiutato Muccino a conoscere l'Africa e ad avvicinarsi al mondo della beneficenza, Richard Borg, direttore generale di Universal Pictures e Riccardo Tozzi per Cattleya, società produttrice del film.

Come si inserisce Un altro mondo nella politica di produzione e distribuzione di Universal Pictures che ha iniziato a collaborare a produzioni nazionali anche in Italia?
Richard Borg: Universal Pictures crede fortemente nelle produzioni locali, ha iniziato da diversi anni ad associarsi a varie società di produzione in molti paesi europei come Francia, Germania, Russia e ora anche in Italia. E' grazie a questa importante strategia che si sono potuti sviluppare importanti progetti insieme a grandi registi come Alfonso Cuarón, Guillermo Del Toro, Alejandro González Iñárritu e Timur Bekmambetov.

Quanto è importante per Cattleya un film come Un altro mondo per il mercato internazionale?
Riccardo Tozzi: La vera novità nel rapporto che ci lega a Universal è questa apertura al mercato internazionale perchè il cinema italiano a nostro avviso negli ultimi anni si è ripreso molto bene. Le due società collaboravano già da prima ma ora abbiamo questa nuova prospettiva che noi giudichiamo molto importante. Universal ha dimostrato anche stavolta di essere molto attenta al vero talento anche al di fuori del suo paese, attenta alle capacità vere dei nuovi giovani registi, sono rimasto molto stupito dell'attenzione che hanno dedicato a Silvio, hanno capito anche loro che dietro al nome c'è una grande potenzialità a livello strettamente registico e stilistico. Silvio ha molto talento, non si è mai montato la testa e come si è visto bene in questo suo secondo film, ha una grande mano da regista.

Quella al centro di Un altro mondo è una storia molto coinvolgente ma anche molto positiva, come hai scelto questo progetto? Non hai temuto un confronto con altri film che lo hanno preceduto come About a boy per esempio?
Silvio Muccino: Quando cercavo di raccontare questo film a chi mi chiedeva di cosa parlasse dicevo che era come una specie di About a boy ambientato ai tempi di Obama, mi piaceva questa definizione. Credo che il mio film sia una nitida istantanea della società contemporanea, del periodo che stiamo vivendo in questo momento. Ma è anche la fotografia del Kenya odierno, il paese d'origine di Obama, raccontato attraverso la storia di un rapporto tra un ragazzo bianco italiano e un bambino di colore africano. All'interno del libro di Carla c'erano tante componenti e non finirò mai di ringraziarla per avermi regalato una storia che mi ha permesso di raccontare un paese diverso dall'Italia, di scoprire l'Africa in tutta la sua estrema bellezza e precarietà, di interpretare un ruolo di quelli che non capitano di frequente ad un attore.

E' questo il motivo per cui hai scelto di fare anche il regista? Per dirigerti in ruoli che gli altri registi di solito non ti offrono?
Silvio Muccino: Non mi sento né un regista né solo un attore, mi sento un uomo profondamente innamorato del cinema e delle storie che esso racconta, vado alla ricerca di questo, di storie, di sfide che mi piace accettare, di occasioni che adoro cogliere al volo. Non sono sicuro che nel futuro io riesca a mantenere questa doppia veste, non so se finirò col fare il regista.

E' stato difficile far recitare un bambino? Assodato che lui è bravissimo, come hai fatto a far funzionare l'alchimia tra di voi sul set?
Silvio Muccino: Michael è un vero talento, ha una facilità di espressione meravigliosa, anche senza bisogno di parlare. Quando l'abbiamo visto per la prima volta in televisione in un video di Tiziano Ferro ci siamo guardati e abbiamo capito che era lui il bambino che cercavamo disperatamente. Camminava e illuminava da solo New York, è stato un colpo di fulmine. Quando è arrivato in Italia gli abbiamo fatto il provino facendogli memorizzare solo il suono delle parole che avrebbe dovuto recitare in italiano, gli abbiamo chiesto di provare a dare un senso a quella che per lui era solo una cantilena. E' stato magnifico vederlo recitare, Michael è uno di quei bambini che capitano una volta nella vita, come è stata Dakota Fanning, è un talento naturale.

Come ti poni in questa uscita natalizia in cui dovrai scontrarti con cartoni in 3D, commedie familiari e i soliti cinepanettoni?
Silvio Muccino: Abbiamo fatto un film che non mi sarei mai immaginato potesse uscire a Natale. Era un film molto coraggioso da mio punto di vista anche rischioso. Quando mi hanno comunicato che sarebbe uscito a Natale ho chiamato i distributori chiedendo se fossero pazzi poi mi hanno risposto che avevo fatto un film davvero natalizio, un vero film sentimentale di quelli che le famiglie vogliono vedere in questo periodo. Quando ti fanno un complimento del genere allora non sai che dire e ti lasci coinvolgere. Spero che il mio film possa scaldare il cuore di chi va al cinema per le feste alla ricerca di qualcosa di diverso.

Qual'è la cosa che hai temuto di più facendo questo film?
Silvio Muccino: Facendo un film del genere sono andato incontro a innumerevoli rischi, il ruolo era molto distante da tutti quelli interpretati finora, non a caso è stato molto lungo il periodo di elaborazione della sceneggiatura che è durato un anno e mezzo, ho avuto molti dubbi sul fatto di essere o meno all'altezza del ruolo e di dirigere un bambino, cosa mai facile. Questo film mi ha dimostrato una cosa che non avevo mai sperimentato, la presenza di Michael ha lasciato aperta la porta dell'improvvisazione. In Parlami d'amore c'era bisogno di un controllo totale, qui avevo bisogno in ogni scena di stimolare costantemente una reazione vera in lui, questo mi ha portato a sentirmi più spalla che protagonista. Mi è successo anche con Isabella, è stato un modo di lavorare molto diverso dal solito, mi sono dimenticato di me, non cercavo la performance, cercavo la scena giusta sullo schermo.

Cos'ha trovato di particolarmente stimolante Isabella Ragonese nel ruolo di Livia?
Isabella Ragonese: Per me era una grande occasione avere la possibilità di interpretare un personaggio come quello di Livia, molto diverso dalle cose che ho fatto finora, soprattutto a livello di energia. Mi ha molto stupito quando Silvio me l'ha proposto, non ho mai pensato al fatto di essere più o meno protagonista ma al fatto di avere una presenza importante nella storia, un ruolo chiave, volevo cercare un percorso che poi ho trovato. Livia all'inizio è una ragazza dal carattere chiuso, sempre nervosa, arrabbiata col mondo, sempre contro tutti. Poi grazie a Charlie, riesce ad aprirsi. E' molto raro poter avere queste occasioni come attrice, ne sono stata davvero entusiasta.

Cosa avete sacrificato del libro?
Carla Vangelista: E' sempre molto difficile prendere questo tipo di decisioni ogni volta che si fa un film da un libro. E' stato complicato togliere l'attenzione da alcuni personaggi e concentrarci solo su altri, ad esempio Tommaso, l'amico di Andrea, nel libro è molto più presente ma abbiamo voluto fare una scelta oculata e concentrarci sul rapporto tra Charlie e Andrea. Fortunatamente non c'è stato nessuno spargimento di sangue (ride), io e Silvio non abbiamo litigato più di tanto per trovare un accordo. Non nascondo però che è stato un processo molto meditato e sofferto.
Silvio Muccino: Per quel che mi riguarda a me interessa sempre e solo il processo di crescita dei personaggi, anche nel mio primo film da regista parlo di persone che crescono, delle difficoltà che incontrano in questo processo di maturazione, perchè a volte ci sono persone che si rifiutano di cambiare e di progredire nella vita. Le donne hanno un ruolo molto importante in questo processo nel film, iniziano e accompagnano il personaggio di Andrea nella fase di crescita, sono davvero indispensabili, sempre.

Pensando anche a Parlami d'amore traspare una vena esistenzialista e un po' spigolosa di Silvio Muccino, anche per il modo di affrontare la vita e le storie. Gli spettatori vengono quasi catapultati in mezzo a realtà un po' particolari, quale sono le fonti di ispirazione?
Silvio Muccino: I miei riferimenti son molto pop, About a boy prima di tutto, un film che ho amato moltissimo, e poi Gente Comune di Robert Redford, un film che mi ha illuminato, che non si vergogna di parlare di crescita e di emozioni. né di affrontare i sentimenti. E poi Magnolia, tutti film che spingono i personaggi protagonisti dal passato al futuro.

Perchè sono passati più di tre anni dal tuo primo film? Ci hai messo tanto perchè sei un po' insicuro o perchè sei un perfezionista?
Silvio Muccino: Al di là di come viene poi il film sullo schermo, io ci metto tanto amore nelle cose che faccio, amo molto questo lavoro e mi ritengo fortunato solo per il fatto di poterlo fare. Non riesco, per come sono fatto, a entrare e uscire dai progetti come niente fosse: li seguo, li faccio miei, li macero, sento addosso la responsabilità di una trasformazione come professionista, sento di volermi meritare una credibilità professionale che non passa solo attraverso solo i fortunati exploit al botteghino ma anche attraverso la scelta di progetti ambiziosi e difficili.

Come ti ha cambiato questa esperienza vissuta in Africa a contatto con il tuo altro mondo?
Silvio Muccino: La cosa che più mi ha cambiato non è stato fare un viaggio in Africa ma conoscere e passare del tempo con il dottor Gianfranco Morino nelle slum che gestisce nelle baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Ho avuto la possibilità di scoprire quel paese attraverso i suoi occhi, mi ero un po' preparato guardando documentari, foto e reportage ma non ero preparato per entrare in contatto con quel tipo di miseria, povertà e violenza, non ero preparato a vedere cosa ci fosse veramente nella bidonville, sono rimasto scioccato nel vedere uomini in giacca e cravatta e donne in tailleur uscire ogni mattina da quelle casupole di latta per andare a lavorare. Non ero preparato a quella dignità, ho capito che dovevo cambiare tutto quel che avevo costruito nella mia testa fino a quel momento sull'Africa. Mi sono svegliato grazie a questo film da un torpore, non sono mai stato particolarmente sensibile alla beneficenza, ero sempre stato curioso ma poco attento. Una volta che entri in contatto con quella realtà è impossibile voltarti dall'altra parte.

Avete quindi creato delle iniziative particolari legate al film?
Silvio Muccino: Io e Carla abbiamo sentito la necessità di regalare qualcosa all'Africa visto l'enorme regalo che l'Africa ci aveva fatto. Una domenica durante le riprese non lavoravamo e Gianfranco mi ha fatto vedere la struttura che sta costruendo, un ospedale vero e proprio, gratuito, con i soldi che riesce a trovare in giro per il mondo. Quel giorno abbiamo parlato a lungo, mi ha passato i suoi appunti e la dedica iniziale del libro per bambini che Carla Vangelisti ha scritto per aiutare questo progetto la dice lunga: "a quei medici che ancora chiamano pazienti, e non clienti, le persone che hanno bisogno di cure". I proventi della vendita del libro saranno totalmente devoluti a questa causa, e in un paese in cui la sanità è a uso e consumo solo dei ricchi stiamo cercando di aiutare la Onlus World Friends a costruire un ospedale per tutti.

L'aspetto più interessante del film è la visione dell'integrazione razziale in Italia, la visione di un altro mondo che entra nel nostro. Perchè hai deciso di raccontare questo aspetto in un modo così forte anche per quel che riguarda il razzismo nelle scuole?
Silvio Muccino: Mi sento di poter dire che l'Italia è un paese in cui l'integrazione non è avvenuta con successo, la realtà è su tutti i giornali, per cui è molto importante in questo periodo, in cui si tende a rimandare indietro al mittente i flussi migratori di persone che cercano per la propria vita una speranza in Italia, parlare di questo argomento presentando la realtà vera dei fatti. L'Italia non è l'America di Obama ma lo potrebbe diventare. Più che di integrazione nel film si parla di accettazione, nelle nostre ambizioni c'era la voglia di raccontare il processo di accettazione di tutto ciò che ci fa paura guardare dritto in faccia. Charlie è un bambino scomodo che con il suo sguardo puro rivela a tutti quelli che gli stanno intorno i loro limiti, e per i protagonisti del film accettare questo bambino significa accettare le proprie fragilità.

In ultima battuta le chiediamo di raccontarci la scelta di usare nel film la canzone Secret Garden di Bruce Springsteen?
Silvio Muccino: Io sono dell'opinione che Springsteen dove lo metti lo metti sta sempre bene. E' una canzone molto importante per me, per due motivi l'ho voluta nel film. Il primo è perchè parla di un giardino segreto, esattamente quello che scoprono i protagonisti del film, Andrea e Livia, un giardino chiuso a chiave fatto di sofferenza ma anche di maturazione, di apertura al mondo. Il secondo motivo è che ancor prima che questo film prendesse vita, prima delle riprese, avevo in mente il trailer, l'avevo visto nella mia testa e sentito. E quella canzone c'era dentro, me la sono portata dietro durante tutta la lavorazione, per nulla al mondo ne avrei fatto a meno. Tramite delle conoscenze in Sony sono arrivato all'indirizzo e-mail di una persona che forse poteva mettermi in contatto con Bruce Springsteen o con il suo agente. Tutte le vie ufficiali erano chiuse, ma ho deciso di scrivere questa fatidica e-mail. Iniziava con "Dear Bruce", figuratevi (ride). Alla lettera di supplica allegavo la sequenza del trailer con la canzone in sottofondo. Dopo tre settimane è arrivata una risposta, recitava "Ok.". Ed è stata veramente una grande soddisfazione.