Recensione Tron Legacy (2010)

Il film di Joseph Kosinski si riappropria dell'immaginario naïf ma al tempo stesso avveniristico del primo Tron per compiere la medesima operazione artistica, estendendo però la modalità di rappresentazione alle potenzialità plastiche e immersive della nuova tecnica tridimensionale.

Bit-opolis

Giudicare Tron Legacy secondo i tradizionali parametri impiegati per valutare il cinema narrativo è fuorviante e limitativo. Del resto anche nell'originario Tron del 1982 - un'opera astratta, geometrica, imbevuta dell'estetica elettronica e delle istanze del cyberpunk - a contare non era la sceneggiatura in senso stretto, l'articolazione della trama, e men che meno la profondità psicologica dei personaggi. L'esperimento precursore di Steven Lisberger (che infatti fu ben poco compreso all'epoca della sua uscita cinematografica) è prima di tutto di tipo percettivo: immergere lo spettatore in una dimensione aliena, guidata dalla logica discreta e deterministica dell'informatica, edificando ex novo un universo virtuale del tutto svincolato dalla realtà fisica. Dopo quasi un trentennio il sequel Tron Legacy di Joseph Kosinski si riappropria di quell'immaginario naïf ma al tempo stesso avveniristico (nel frattempo divenuto di culto) per compiere la medesima operazione artistica, estendendo però la modalità di rappresentazione alle potenzialità plastiche e immersive della nuova tecnica tridimensionale.


A oggi, infatti, sono pochi i film che hanno saputo sfruttare il linguaggio della terza dimensione in maniera significativa, con l'eccezione (per adesso quasi esclusiva) del pionieristico Avatar. Tron Legacy impiega invece l'effetto in maniera espressiva e consapevole, ricorrendo al 3D per segnalare lo scarto tra mondo reale e virtuale. La prospettiva è, tuttavia, ingegnosamente invertita. E così il film accentua la piattezza delle inquadrature proprio quando il protagonista Sam Flynn, figlio del Kevin del primo film, si trova ancora nella realtà fisica; mentre all'opposto la terza dimensione irrompe solo dopo che il ragazzo viene catturato nel reame astratto e numerico di Tron. Inoltre, viene compiuto un tentativo (più che mai coraggioso, visti i tempi di eccessi visivi ridondanti e neo-barocchi in cui viviamo) di recupero del design minimalista, geometrico e algido che era alla base dell'originaria messa in scena di Lisberg.

Come il primo Tron si rifaceva direttamente alle correnti pittoriche dell'espressionismo, del futurismo, dell'astrattismo e del neoplasticismo, così Tron Legacy "scarnifica" l'effetto speciale digitale e tridimensionale per ricondurlo all'essenzialità, quasi zen, della forma. Luci, linee, superfici riflettenti che si sovrappongono su diversi piani di profondità, sono gli elementi pressoché esclusivi in cui si muovono i personaggi. Le numerose sequenze d'azione che solcano il film (quella a bordo degli ormai iconici motocicli, la rissa che ha luogo nel bar kubrickiano di Castor, la battaglia aerea conclusiva) divengono un esercizio quasi sperimentale di immersione, che tenta di emulare l'interattività tipica del linguaggio dei videogames. Degno corollario di questo universo fatto di bit, pixel e led non poteva che essere la pervasiva e rin(tron)ante colonna sonora del duo "alieno" Daft Punk, che del resto si erano cimentati anche in ambito cinematografico in raffinati esercizi formali con l'ipnotico Electroma.
Si potrà obiettare che Tron Legacy segua una logica del "copia e incolla", peraltro una caratteristica ineludibile dell'era postmoderna in cui viviamo, non soltanto nel suo voler riproporre nostalgicamente personaggi, luoghi e situazioni del primo film (addirittura "clonando" l'attore Jeff Bridges per riprodurlo in una duplice versione di giovane e di anziano), ma soprattutto nell'attingere a stereotipi ricorrenti delle serie fantasy - in particolare il rapporto padre - figlio e le suggestioni misticheggianti che rimandano direttamente a Guerre Stellari. Ma forse, più che l'immaginario delle saghe di George Lucas o dei fratelli Wachowski (semmai è Matrix a essere in debito nei confronti di Tron), il vero archetipo di riferimento è rappresentato dalla fantascienza distopica di Metropolis di Fritz Lang, il cui sottotesto politico e rivoluzionario si trova anche alla base di questo sequel. Non per niente anche in Tron Legacy si parla di una dittatura totalitaria che ha epurato un'intera razza di esseri digitali, mentre si auspica una nuova "frontiera digitale per riformare la condizione umana". E non è probabilmente un caso che anche in questo film le speranze di una nuova civiltà siano riposte in una combattiva eroina, Quora, portatrice di un messaggio egalitario e libertario. Come a dire che, anche nel passaggio dall'epoca analogica a quella digitale, nello scarto che separa l'espressionismo tedesco dall'astrattismo digitale, i conflitti che arrovellano l'umanità restano immutati e irrisolti. La rivoluzione digitale riuscirà finalmente a liberarci?