Favino, Volo e la Pandolfi precari e delusi in Figli delle stelle

La crisi economica, il lavoro precario e e l'insofferenza di una generazione di ultratrentenni nei confronti della politica e del 'sistema' sono i temi di fondo trattati in Figli delle stelle, la commedia diretta da Lucio Pellegrini presentata stamattina a Roma dal cast 'stellare' al completo capitanato da uno strepitoso Pierfrancesco Favino.

Pepe sogna di fare il professore di ginnastica ma si mantiene lavorando come cameriere precario in un Autogrill, Toni ha appena perso il suo migliore amico e collega in un incidente sul lavoro nei cantieri del porto di Marghera, Marilù lavora come giornalista disillusa nella redazione di una trasmissione televisiva di dibattito e approfondimento politico sociale su La 7, Bauer è un assistente universitario di sociologia, un disobbediente rivoluzionario, legato indissolubilmente all'ideologia comunista dell'ex unione sovietica e Ramon è un avanzo fresco di galera. Una grande insoddisfazione di fondo, un senso di delusione ed un disagio socio culturale molto profondo li accomuna, come anche la voglia di 'fare qualcosa' per manifestare il proprio dissenso e la totale sfiducia nei confronti di un paese che li rende ogni giorno più soli e alienati. Decidono così di rapire un politico, un ministro, per chiedere il riscatto e risarcire la vedova dell'operaio morto nel porto di Marghera. Ma il piano salta perchè nei concitati momenti dell'agguato i tre maldestri rapitori sbagliano uomo finendo per sequestrare forse uno dei pochi politici per bene che esistono nei palazzi...

Un film divertente Figli delle stelle, dal sapore dolceamaro, che alterna momenti surreali e sprazzi di malinconia vintage alla strettissima attualità diretto con brio e 'sfrontato' cinismo da Lucio Pellegrini, regista di commedie e fiction di successo che a contatto con due Iene come Kessisoglu e Bizzarri - protagonisti dei suoi due primi film E allora mambo! e Tandem - ha imparato ad usare le affilate lame della satira nei confronti della politica e della televisione spazzatura. Pescando nei cast delle fiction di successo che ha diretto di recente, I Liceali e Non pensarci (la fiction di Fox tv con Mastandrea, Battiston e Anita Caprioli), e qualche innesto importante come quelli di Pierfrancesco Favino e Fabio Volo, il regista torna sul grande schermo con una commedia leggera dopo aver diretto, nel lontano 2003, Ora o mai più, il dramma ambientato durante i tragici giorni del G8 di Genova.

Girato tra Roma e le splendide montagne della Val d'Aosta, distribuito da venerdì 22 ottobre dalla Warner Bros in 250 copie e prodotto dalla ITC Movie, il film è stato presentato stamane a Roma dal divertente e divertito cast composto da Claudia Pandolfi, Giuseppe Battiston, Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Giorgio Tirabassi, il 'padano' Fabio Volo, che per tutto il film parla con uno strettissimo accento veneto, e dal regista Lucio Pellegrini.

Signor Pellegrini, la sua è una commedia a tratti surreale ma fortemente e drammaticamente radicata nella realtà di oggi che non fa riferimento a fatti casuali, pensiamo al malcontento rivolto al ministro durante la trasmissione televisiva, ai morti sul lavoro, alle intercettazioni. Come avete lavorato su questo aspetto per mantenere un tenore leggero senza rinunciare alla contemporaneità e alla riflessione sul difficile momento che vive il nostro paese?
Lucio Pellegrini: Mi interessava che questa storia rimanesse profondamente ancorata alla realtà, si fa molta commedia in Italia ma spesso ci si allontana da quello che accade realmente nel paese, c'è difficoltà nell'osservare il quotidiano con le sue conflittualità, nel sottolineare come gli italiani facciano fatica ad aderire all'immagine degli uomini che dovrebbero rappresentarli alla guida del Paese. Ci interessava mettere un piede nella realtà, la migliore commedia in Italia ha fatto proprio questo, anche quando a volte diveniva surreale e grottesca, ha sempre parlato di uomini e donne che condividevano un disagio esistenziale assai generalizzato.

A rendere il film molto eversivo sono elementi secondari che finiscono per esprimere i concetti più importanti: i buoni nella storia sono il politico e i tutti rapitori, tutte brave persone trascinate dagli eventi a compiere atti disperati in nome dei propri ideali. Il cattivo è rappresentato dalla comunità nel suo complesso, nello specifico la comunità rurale di un paesino valdostano che prima si prende una quota del riscatto e poi applaude durante il rilascio. Come avete costruito questo aspetto?
Lucio Pellegrini: Il cuore del film è esattamente questo, è racchiuso nell'applauso che accompagna la liberazione dell'ostaggio. Un momento che evidenzia la grande ipocrisia della società nel contesto di un fatto di cronaca che ha catalizzato l'attenzione dei media. La scommessa era proprio questa, provare a raccontare con i nostri toni la situazione che viviamo in questo periodo, quello che abbiamo è un po' quello che ci meritiamo.

Perchè questo titolo che risuona nelle orecchie grazie all'omonima canzone di Alan Sorrenti?
Lucio Pellegrini: Ci piaceva l'idea di raccontare l'avventura di questo gruppetto di bizzarri trentacinquenni ambientata prima a Roma e poi in un appartamentino di montagna in cui il tempo si è fermato agli anni '80, il titolo ammicca a quel genere di musica, a certi oggetti, alla mia esperienza personale visto che sono cresciuto in quei posti e passavo tutte le vacanze in una casa come quella. Mi piaceva ricordare quando quella casa era piena di vita, di ragazzini felici, racchiudendo tra quattro mura un gruppo di ragazzi un po' sfigati uniti dalla stessa generazione, da un malcontento, da una canzone, per questo nel momento più giocherellone del film la canzone di Alan Sorrenti era davvero perfetto.

Se un film del genere fosse stato fatto qualche anno fa si sarebbe gridato allo scandalo, soprattutto pensando ai tragici fatti di cronaca nera degli scorsi decenni. La situazione in cui ci troviamo è davvero tanto brutta ed è quindi meglio riderci sopra e fregarsene delle eventuali polemiche?
Lucio Pellegrini: Il nostro intento era quello di realizzare una commedia, abbiamo cercato uno sviluppo narrativo che mettesse insieme il disagio sociale che viviamo con le storie dei singoli personaggi mixando il tutto in un filmi corale in continuo movimento. E' di fondamentale importanza lo sguardo benevolo sui personaggi tutti, uno sguardo empatico che sottolinea come tutti loro portino nella storia la propria umanità, anche il politico dunque, non mi sono mai posto il problema di usare linguaggio difficile o scomodo. Spesso si creano polemiche, soprattutto quando non c'è motivo, il film parte da questo maldestro rapimento ai danni di un politico, è soltanto un dettaglio per far decollare la storia, ma poi prende una strada tutta sua. Non penso che ci saranno polemiche, ma tutto può succedere. Qualche problema l'ho avuto qualche anno fa parlando del G8 in un mio film ma i motivi erano del tutto diversi. Conosciamo tutti l'Italia di oggi, di mestiere faccio il regista e quindi racconto storie, quelle che sento più vicine a me. Poi ognuno può essere toccato in modo diverso nel proprio intimo ma credo che sia importante parlare ora di questi problemi, anche se in Italia siamo abituati a parlare di queste cose a trenta o a quarant'anni di distanza. Questo mi sembrava il momento giusto per farlo.

Il regista vi ha definito come 'un gruppetto di sognatori un po' sfigati', come ha vissuto Claudia Pandolfi il suo ruolo di una giornalista televisiva che poi si ritrova invischiata in un rapimento?
Claudia Pandolfi: Marilù è l'unica donna del film, una stralunata giornalista che fa un po' da strambo trait d'union all'interno di quella gabbia di matti. Il suo modo generoso ed empatico di relazionarsi con loro la spinge a non tirarsi fuori, è una che non riesce a dire no e che soccombe un po' al suo destino perchè tutto sommato anche lei ha voglia di 'fare qualcosa'. Questo 'fare qualcosa' rappresenta benissimo la deriva emotiva e sociale che spinge il gruppo a questo gesto assurdo e un po' demodé. Questo ruolo mi ha divertito molto, con Lucio avevo già sperimentato ne I liceali questo tono un po' goffo e malinconico che non mi era proprio congeniale, è stato bello interpretare il ruolo di una donna piena di stupore e di risorse.

Come si è trovato Pierfrancesco Favino ad entrare in un ruolo un po' tragicomico come quello di Pepe, un cameriere con la passione per la ginnastica e tanti sogni nel cassetto tra cui quello di salvare la vita della sua mamma gravemente malata?
Pierfrancesco Favino: Sin dal primo incontro con Lucio e con gli altri sceneggiatori ho capito che questo film poteva rappresentare la possibilità di parlare di un disagio comune, la gente non ne può più di alzarsi la mattina e leggere di tragedie, leggi incomprensibili, di morti sul lavoro, di precariato, di manifestazioni di operai. Adoravo il fatto di usare toni leggeremente cinici e grotteschi per riuscire a ridere di certe situazioni che ci opprimono tutti i giorni. Il gruppetto protagonista è composto da ragazzi un po' nostalgici, rimasti intrappolati in un'altra epoca anche perchè quella presente sembra rifiutarli con grande arroganza.

Cosa pensa Fabio Volo che nel film veste i panni di un operaio navale che perde il suo migliore amico in una delle tante morti bianche?
Fabio Volo: Toni è un ragazzo che ha dentro tanta rabbia, va in TV per parlare in una trasmissione e iinvece fa scena muta perchè è stufo delle parole ed attende che qualcuno dei politici presenti faccia qualcosa di tangibile. Tutti i personaggi di questo film sono in attesa di qualcosa, come sospesi in un precariato che è solo lavorativo ma soprattutto psicologico e morale, un contesto in cui spesso si cade in gesti irrazionali e avventati, dettati dalla drammatica difficoltà del momento.

Un revival anni '80, sentimenti e ideali un po' vintage, ci vuol dire che oggi chi sogna di fare la rivoluzione rischia di sembrare anacronistico?
Lucio Pellegrini: Un film è qualcosa di totalmente aperto, ognuno ci vede quel che vuole, ho trovato molto affascinante far piombare il gruppo improvvisato di rapitori in una casa che non si apre da trent'anni, io ho ricordi di questo tipo, di tute da sci colorate, ho mandato ai costumisti e agli scenografi decine di foto di quegli anni, mi piaceva molto esteticamente quel look, oggi può apparire senz'altro come una strana associazione di idee ma associare l'eskimo al colbacco e le tute da sci attillate degli sciatori professionisti era una cosa che mi stuzzicava parecchio.

Ad un certo punto il film piazza pulita della realtà e del mondo politico per concentrarsi su questi due gruppi di persone, da una parte i rapitori nostalgici e dall'altra la comunità valdostana, non propriamente abituata ai riflettori...
Lucio Pellegrini: All'inizio ci sono riferimenti ai TG, agli echi di stampa ma ben presto ci si dimentica del contesto odierno perchè ci interessava molto di più porrel'accento sulle dinamiche tra i personaggi. Abbiamo deciso di concentrarci su questo anzichè trasformare il tutto nella solita caccia ai rapitori on the road. Andando avanti con la scrittura abbiamo deciso di collocare l'età dei personaggi intorno ai 35 anni, tutte persone che ancora non hanno un posto nel mondo, vittime del precariato esistenziale.
Francesco Cenni: Come sceneggiatore del film vorrei spiegare che questa scelta è dovuta alla nostra volontà di isolarli un po' dal contesto di pressione, un isolamento che potesse sottolineare la loro solitudine esistenziale e fare da tirante drammatico delle ricerche. Ci siamo voluti liberare del lato cronachistico-sociologico, perchè dati troppo concreti avrebbero smorzato un po' la poesia della storia.

In ultima battuta, quanto deve questo film al cinema di Monicelli?
Lucio Pellegrini: Effettivamente la costruzione dei personaggi è molto simile a I soliti ignoti, il cinema di Monicelli è da sempre un riferimento importante per me, il suo sguardo nei confronti dei perdenti mi ha sempre affascinato, lo trovo tuttora molto contemporaneo e troppo poco praticato, ci siamo ispirati a quello ovviamente ma anche a La banda degli onesti e a Il sorpasso, alla commedia all'italiana che meglio ha raccontato un'epoca e un Paese.