Recensione Vallanzasca - Gli angeli del male (2010)

Michele Placido dirige con efficacia un grande cast senza risparmiare nulla allo spettatore nella ricostruzione della biografia del Vallanzasca uomo e bandito.

Faccia d'angelo e mani sporche di sangue

Dopo Romanzo criminale, Michele Placido conferma la propria vocazione di regista di crime movie a tinte forti con il biopic Vallanzasca - Gli angeli del male. A quanto pare il genere sembra essere assai congeniale al sanguigno autore che, dopo aver ottenuto la fiducia della Twenthieth Century Fox - studio che da anni non si impegnava direttamente nella produzione di un film italiano - ha costruito un affresco storico dell'Italia in nero degli anni '70 incentrato sulla controversa figura di Renato Vallanzasca. La forza produttiva dietro il film si vede tutta. Stilisticamente e tecnicamente Vallanzasca non ha nulla da invidiare a produzioni internazionali quali il francese Nemico pubblico n°1, dedicato al bandito Jacques Mesrine, o il tedesco La banda Baader-Meinhof. Il modello più vicino alla pellicola diretta da Placido è, però, il gangster movie americano più potente e adrenalinico, anche se non mancano punti di contatto con il poliziesco 'sporco' all'italiana degli anni '70. All'inizio del film il regista sente la necessità di contestualizzare la storia che si accinge a raccontare narrando le origini del bandito Vallanzasca, la sua infanzia trascorsa nella periferia milanese, la morte violenta del fratello e le prime escursioni nel mondo del crimine. Per far ciò si serve di una voce narrante che ricorda da vicino quella usata da Ted Demme in Blow, altro biopic dedicato a un celebre narcotrafficante degli anni '70, ma ben presto si discosta dalla patina modaiola del film americano per sporcarsi le mani con una storia nera tutta italiana.


Placido dirige con efficacia un grande cast senza risparmiare nulla allo spettatore nella ricostruzione della biografia del Vallanzasca uomo e bandito. Spaccone, donnaiolo, violento, lucido e feroce. L'immagine del criminale incarnata con straordinario mimetismo da Kim Rossi Stuart, fin dalle prime scene del film, fuga il rischio di agiografia che alcuni temevano. Il fascino emanato dal personaggio di Renato Vallanzasca è indubbio, legato al suo bell'aspetto e alla personalità controversa che all'epoca conturbò molte casalinghe italiane, come dimostrano le cronache del tempo e le centinaia di lettere d'amore delle ammiratrici inviategli in carcere. Sotto questo punto di vista il film non fa altro che restituire la verità storica accentuandone la dimensione romanzesca. Ben girato, ben sceneggiato, supportato da un'ottima fotografia e da un uso accurato della musica (efficace la colonna sonora curata dai Negramaro usata abilmente a commento delle scene più intense), Vallanzasca si avvale di un cast azzeccato che funge da spalla a Kim Rossi Stuart. Belle facce, sguardi truci e basette pronunciate negli attori che interpretano i compari di Vallanzasca (lievemente sopra le righe Filippo Timi che, nella rappresentazione del tossico Enzo, tende a strafare).

A livello qualitativo il biopic di Placido centra l'ambizioso obiettivo che si era posto e la sua facile commerciabilità sia in Italia che all'estero rappresenta una nota positiva per il mercato in crisi. Il problema, semmai, riguarda l'opportunità o meno di dedicare una pellicola a uno dei protagonisti delle pagine più drammatiche della storia criminale italiana. Questa almeno è la critica mossa da coloro che hanno contestato a priori la decisione di realizzare un film sul 'bel René'. Comprensibile lo sdegno delle famiglie delle vittime cadute sotto i colpi della banda di Vallanzasca nella stagione più sanguinosa, ma in quest'ottica diventa contestabile la realizzazione di qualsiasi pellicola dedicata a un criminale (dal succitato Blow a Nemico pubblico - Public Enemies di Michael Mann) o a un qualsiasi personaggio storico negativo. Il cinema, in quanto linguaggio, ha il fine ultimo di descrivere la realtà, una realtà in cui bene e male coesistono. In quest'ottica Vallanzasca - Gli angeli del male non è una pellicola morale né immorale, ma casomai amorale, funzionale a rappresentare un uomo e un'epoca, senza sconti. Iin Italia e in altri paesi nascono in continuazione gruppi di giovani esaltati sostenitori di dittatori, criminali e serial killer (Facebook docet). Più che la censura preventiva sui film scomodi, forse dovremo prima preoccuparci di inculcare nei giovani un sistema di valori che gli permetta di distinguere il bene dal male. Il cinema, se fatto bene, serve anche a questo scopo.

Movieplayer.it

4.0/5