The Housemaid, la recensione: Un remake senza eleganza

The Housemaid si sviluppa con misura ed eleganza per tutta la prima parte, ma quando la storia entra nel vivo il tono cambia radicalmente: quello che prima era sottilmente suggerito, diventa esplicito, quello che era soltanto accennato passa in primo piano.

Eun-y, reduce da un matrimonio fallito, viene assunta come governante da una famiglia facoltosa per prendersi cura della bambina, della casa e della madre incinta di due gemelli. Eun-y, sempre sorridente e cortese, non ha però lo spirito della vera governante, a differenza della collega più anziana Byung-sik, da anni al servizio della stessa famiglia ed addentro alle sue abitudini ed ai suoi segreti. Ciononostante, i suoi modi e la sua disponibilità le permettono di integrarsi fin da subito nell'ambiente familiare, stringendo un ottimo rapporto in particolare con la piccola di casa, di cui si occupa. L'equilibrio creatosi inizia a vacillare quando Hoon, il capofamiglia, decide di approfittare della nuova, giovane governante, per poi crollare inesorabilmente quando quest'ultima resta incinta dell'uomo.

The Housemaid, presentato in concorso alla 63ma edizione del Festival di Cannes, è il remake dell'omonimo film del 1960 firmato da Kim Ki-young, un vero classico del cinema coreano, che all'uscita ha avuto un grande impatto in patria sulla società dell'epoca. Il nuovo progetto, affidato ad Im Sang-soo, ha alle spalle un grosso sforzo produttivo, teso a presentare il film in concomitanza con il cinquantesimo anniversario dell'originale, e la cura dei dettagli e la ricerca estetica tendono a sottolineare tale sforzo.
Il nuovo The Housemaid si sviluppa con misura ed eleganza per tutta la prima parte, mentre i personaggi e le loro personalità si delineano su schermo, con una scelta delle inquadrature e delle tecniche di ripresa interessanti e curate. Gli attori sembrano avere una presa sicura sui propri personaggi, la tensione poco a poco comincia a ricamare le sue sottili trame, fatte di allusioni, sensualità ed ammiccamenti ed il tema dello scontro di classe tra ricchi e poveri sembra intrecciarsi bene con le situazioni che si vengono a creare nella lussuosa abitazione che fa da sfondo alla storia.

E' quando la storia entra nel vivo che il tono cambia radicalmente: quello che prima era sottilmente suggerito, diventa esplicito, quello che era soltanto accennato passa in primo piano: le allusioni sessuali della prima parte lasciano il posto ai rapporti tra Eun-y ed il suo datore di lavoro, messi in scena senza una particolare eleganza, accompagnati da scelte ancor più dirette nel linguaggio dei due amanti. Anche nella costruzione della tensione, Im Sang-soo cambia completamente registro, abbandonando la misura e lasciandosi andare a trovate discutibili ed in contrasto con quanto visto in precedenza, ma soprattutto con l'idea di suspance che aveva intenzione di costruire. Una serie di scelte visive che culminano in un finale eccessivo e dal sapore vagamente trash, che fa storcere il naso, soprattutto in relazione a quanto visto nella prima parte del film ed all'occasione mancata nel celebrare un classico.

Movieplayer.it

2.0/5