Recensione Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: Il ladro di fulmini (2010)

Percy Jackson promette di prendere il posto di Harry Potter con la sua funambolica commistione tra epic movie e fantasy, tra passato e presente-verso il futuro. Ma oltre le battute divertenti, i simpatici aggeggi ultratecnologici, i sorprendenti superpoteri degli eroi alle prime armi e le suggestive scene d'azione si nasconde un messaggio universale.

Tesoro, mi si sono mitizzati i ragazzi

Il fulmine di Zeus è scomparso e lui, su tutte le furie, incontra Poseidone per avvertirlo che scatenerà tutte le sue ire se scoprirà, come sospetta, che a rubarlo sia stato suo figlio Perseo. La storia sembra un ricamo letterario della mitologia classica, ma è invece il cuore del nuovo fantasy che proverà a rubare la scena al maghetto più amato degli ultimi anni. A cinque anni di distanza dal boom del videogioco God of War, che ha impazzato tra i fan delle console, e a poco distacco dall'uscita nelle sale del remake dell'epico Scontro di Titani del regista Louis Leterrier, rifacimento attesissimo della stagione cinematografica in corso, ci pensa il regista Chris Columbus (I Goonies) a unire in un'unica pellicola il genere fantasy e il nuovo trend collettivo rappresentato dall'interesse sempre maggiore del pubblico per le leggende del mondo ellenico. Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: Il ladro di fulmini - uno dei titoli più lunghi e sgraziati della storia del cinema - è il franchise teen-friendly che s'appresta a conquistare i cuori di adolescenti e famiglie con la sua funambolica commistione tra _epic movie _e fantasy, tra passato e presente-verso il futuro, tra emozione e azione.

Tratto dall'omonima saga dello scrittore texano Rick Riordan, che pare abbia spopolato in America, Percy Jackson è il capitolo primo di un'epopea capace d'insegnare e di trasmettere una conoscenza, seppure manipolata dalla fantasia e da certe licenze registiche, che non può che risvegliare nel piccolo e grande pubblico la curiosità verso un mondo e verso nomi che alcuni peplum avevano già descritto e destare tra gli adolescenti l'attenzione su tematiche sociali che spesso sono affrontate nei film a loro rivolti con superficialità e leggerezza. Se a un primo sguardo la trama del film porta a convogliare ogni osservazione su due diversi binari della comparazione, quello filmico, con l'inevitabile confronto con Harry Potter e la pietra filosofale e quello storico con una caccia alla ricerca delle differenze tra le storie della mitologia e quelle raccontate (e stravolte) dal nuovo ciclo letterario e cinematografico, è soffermandoci sui personaggi, principali ma non solo, che alcune remore si vanno allentando.

Percy Jackson ha la struttura lineare e senza tanti arrovellamenti di una favola in cui il protagonista compie un viaggio alla ricerca di un oggetto, con l'aiuto di personaggi che gli fanno da spalla e avvalendosi di strumenti e poteri straordinari, combattendo contro nemici duri a morire. Contrariamente a quanto tutti i rimandi mitologici indurrebbero a pensare, l'avventura intrapresa dal nostro eroe è una vera e propria odissea hollywoodiana: Percy Jackson (il promettente Logan Lerman) è un teenager, figlio del dio Poseidone e di Sally Jackson, che scopre improvvisamente di essere un semidio dotato di eccezionali abilità e circondato da personaggi, come lui, non esattamente umani, e che, dopo essere stato accusato da Zeus (Sean Bean) di avergli rubato il fulmine, si ritrova catapultato improvvisamente in un'avventura rocambolesca e rischiosa dal cui esito dipende la vita della mamma, tenuta in ostaggio da Ade. Percy ha diciassette anni, ma fino al momento della gita scolastica al museo e dell'aggressione da parte di un mostro in cui sotto i suoi occhi si è trasformata una sua insegnante, non sapeva di essere un potenziale eroe. Ad accompagnarlo saranno due compagni di viaggio che hanno in comune con lui la natura extra umana: Grover, il suo migliore amico, simpatico satiro che lo assiste e lo protegge dal pericolo, e la bella Annabeth, figlia di Atena. A fargli da mentore il professor Brunner (Pierce Brosnan), che lo avvia a un vigoroso addestramento a suon di spade e scudi al Camp Half-Blood, palestra di piccoli soldati immersa in una natura mozzafiato.

L'avventura di Percy all'ombra dei giganteschi dei dell'Olimpo, tutta giocata sulla costante degli stravaganti parallelismi tra modernità e antichità: si troverà a lottare così contro una Medusa vamp - proprietaria di un negozio di statue che finirà per specchiarsi sul retro dell'iPhone della sua vittima e carnefice - in una psichedelica Las Vegas che accoglie l'isola dei mangiatori di Loto e in cui il tempo può fermarsi, nella copia del Partenone a Nashville, nel mondo sommerso di Hollywood in cui è allocato l'inferno, la residenza di un Ade (Steve Coogan) in stile Mick Jagger, fino all'Empire State Building, raggiunto con l'ausilio di Converse alate all'ultimo grido, che nasconde dietro un passaggio segreto la hall imperiale dei mastodontici dei del monte Olimpo. Il mitico mondo di Percy è un universo "incastrato" tra la terra e un altrove leggendario, pieno di sorprese continue e di trovate divertenti, ma a cui manca quel tocco di magia che ha fatto della scuola di Hogwarts un luogo che gli spettatori, di ogni età, hanno sognato almeno una volta nella loro vita. La commistione tra generi, ambienti ed epoche così diverse rischia più volte nel film di sfociare nel weird più che nell'incredibile e di provocare all'interno della storia e tra i microcosmi ammiccanti ed estrosi dei bizzarri pasticci in crisi d'identità. Diventa allora significativa la risposta dello stesso protagonista che alla domanda: - Ti senti un eroe? ribatte: - Un mutante più che altro.

Il regista Chris Columbus prova a ricalcare la formula del successo di Harry Potter, che non a caso aveva lui stesso lanciato quasi dieci anni fa, reiterandone gli elementi caratteristici, facendo un refresh degli effetti speciali grazie alla CGI, ricorrendo a una serie di aggeggi ultratecnologici di presa sicura sul pubblico giovane e avvalendosi di star già calibrate tra le quali emergono, senza tante difficoltà, Uma Thurman e Pierce Brosnan, in grado di parlare con un mucchio di serpenti selvaggi sulla testa o di destreggiarsi col mezzobusto umano sulle gambe equine con una grazia sorprendente. Ma quello che lo allontana, e gliene facciamo un merito, dalla saga di Harry Potter così come da pellicole fantasy dell'ultima generazione va ricercato nella profondità psicologica dei personaggi, che il film non si limita solo a inquadrare. Se Spider-man aveva inaugurato il tormentone che legava ai grandi eroi grandi responsabilità, pare che oggi al cinema le cose stiano per cambiare e che a fare grandi gli eroi, prima ancora che le missioni impossibili in cui s'imbattono, siano le loro grandi origini.

Non solo le radici rendono speciali questi eroi, ma una dimensione, originale e pop, contribuisce a renderli personaggi che sembrano uscire dall'ultimo fumetto action della produzione di strisce made in Usa. A mascherare i superpoteri di questi eroi non sono solo tenute da umani, come succede per eroi come Batman per esempio: quello che nasconde la loro straordinarietà è l'handicap o il deficit che nella vita quotidiana è un problema disagevole. Così Percy è un ragazzino dislessico con problemi d'attenzione, Grover zoppica e s'aiuta con le stampelle, il professore Brunner è un paraplegico sulla sedia a rotelle. Eppure il supereroe di turno capisce che in realtà quello che ritiene un handicap è una virtù rara perché i suoi occhi convertono automaticamente l'inglese nel greco antico, il coraggioso Grover che sembrerebbe impossibilitato a camminare normalmente in realtà saltella sulle sue possenti zampe da satiro, oltre l'aspetto da professore un po' trasandato si nasconde il nerboruto centauro Chirone. Le scene d'azione e le battaglie, coinvolgenti con la loro rincarata dose di energia e ritmo, e gli ammodernamenti stravaganti e divertenti, che superano i pregiudizi attivati dalla modesta qualità degli effetti speciali, si alternano alla presa emozionale dei protagonisti per i quali finiamo immancabilmente per fare il tifo mentre gli elefantiaci e autoritari dei dell'Olimpo, che decidono prima ancora di parlare, ci sfuggono come in una suggestiva lotta impari tra Davide e Golia, depositaria di un messaggio universale e positivo.