Recensione Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi (2008)

Il riequilibro delle ingiustizie sociali, per Romero, passa attraverso la comparsa degli zombie e della loro capacità maieutica di portare alla luce la vera natura insita nella specie umana. Una natura che, alla resa dei conti, non si dimostra poi tanto migliore degli inconsapevoli morti viventi.

Crudeltà di uomini e zombie

Gli zombie di George Romero del nuovo millennio sono più forti, più agguerriti e più evoluti. La sfiducia nell'umanità del maestro del genere horror non si smentisce neanche stavolta e lo spinge a portare avanti un discorso personalissimo sulla moderna società dei consumi e sull'attuale politica americana (e mondiale) innestandovi, in più, un'acuta riflessione sui media. L'interessante relazione che si instaura tra realtà e finzione, tra visione e ontologia, sviscerata a vari livelli da metahorror quali The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair, Cloverfield o Rec (solo per citarne alcuni), si fa più profonda e pessimistica. L'orrore del contagio e del proliferare dei morti viventi sulla Terra viene filtrato dall'occhio della telecamera, dalle lenti dei cellulari, dai monitor di sorveglianza, dagli schermi dei pc collegati a internet. L'obiettivo diventa uno scudo contro l'atrocità del male che si consuma davanti agli occhi dei superstiti e, allo stesso tempo, l'unico modo per partecipare della realtà. Vedo dunque esisto ed esiste tutto ciò che viene inquadrato, mostrato, immortalato in un'anestesia globale di ogni sentimento umano. La visione dell'orrore in ogni sua forma - dagli zombie alla guerra, dalla morte in diretta alle catastrofi naturali - comporta l'assuefazione degli spettatori. La fruizione quotidiana delle mostruosità che vengono diffuse dai media, ampiamente manipolate e infarcite di bugie, si trasforma in commercializzazione del dolore, indifferenza o voyerismo, coltivando una massa di spettatori passivi che assistono apatici alle menzogne che vengono propinate loro. La percezione delle informazioni che i media diffondono è ormai talmente distorta che agli albori del contagio nessuno è in grado di percepire la reale entità del pericolo e anche di fronte all'improvvisa esplosione di violenza degli zombie i giornalisti delle troupe televisive continuando a fare il proprio lavoro, incuranti del rischio.

Alla riflessione metacinematografica, Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi affianca un ulteriore elemento di analisi che rappresenta un'evoluzione nella poetica romeriana. La dimensione claustrofobica che governava le precedenti pellicole (dall'appartamento del primo capitolo in cui dominavano i movimenti verticali soffitta/cantina all'iconico mall, regno del consumismo made in USA, dalla violenta base militare alla metropoli blindata e settaristica) digrada in un pellegrinaggio on the road attraverso la Pennsylvania rurale che permette di attraversare (e analizzare) svariati microcosmi, fornendo un'immagine globale della reazione popolare al risveglio dei morti viventi. Là dove le istituzioni risultano completamente assenti o incapaci di fornire alcun tipo di sostegno, abbandonando la popolazione a se stessa, vige la legge del più forte e a dimostrare maggiore capacità di organizzazione sono un gruppo di giovani guerriglieri di colore, capaci di fornire protezione dagli zombie a coloro che entrano nella loro sfera d'azione. Dall'eroico e volonteroso protagonista de La notte dei morti viventi (l'afroamericano Duane Jones) in poi un fil rouge si dipana attraverso le cinque pellicole zombesche dirette da Romero, mostrando spesso e volentieri eroi di colore, outsider o reietti che si prendono la rivincita dimostrandosi capaci di grandi imprese. Il riequilibro delle ingiustizie sociali, per Romero, passa attraverso la comparsa degli zombie e della loro capacità maieutica di portare alla luce la vera natura insita nella specie umana. Una natura che, alla resa dei conti, non si dimostra poi tanto migliore degli inconsapevoli morti viventi, almeno a giudicare dall'agghiacciante riflessione finale che conclude questo quinto capitolo della saga.
Come da tradizione romeriana, però, in questa pessimistica visione globale del presente non mancano momenti di sagace ironia. Qua è là la narrazione è punteggiata dalla presenza di battute fulminanti e buffe musiche di commento, strizzate d'occhio che richiamano costantemente i precedenti capitoli della saga, abbondante gore e una manciata di scene cult. Una per tutte, l'apparizione improvvisa dell'irresistibile vecchietto sordo amish che accoglie i giovani video maker nel suo granaio per riparare il camper. Arrivato a quota cinque, l'anziano Romero non si smentisce. Chhissà quali ulteriori sorprese ci ha riservato per il prossimo futuro.

Movieplayer.it

4.0/5