Recensione Il profeta (2009)

Il film non stanca neanche allo scoccare delle due ore e mezza di durata, grazie alla padronanza tecnica di Audiard, alla ricchezza di idee della curatissima sceneggiatura, e al talento del giovane Tahar Rahim, che incarna un personaggio complesso che intenerisce, affascina e inquieta nell'arco delle sue vicende.

Il dilemma del prigioniero

Malik, diciannovenne illetterato senza nessuno al mondo, dopo vari trascorsi negli istituti minorili approda in un penitenziario per scontare una sentenza di sei anni. Il primo impatto sarà terrificante, ma Malik dimostrerà molto presto di avere il carattere, il coraggio e la capacità di adattamento per sopravvivere; preso sotto l'ala protettiva del boss corso che ha un ruolo dominante sugli altri detenuti, conoscenze potenti e una certa abilità nel manipolare i carcerieri, Malik sarà costretto ad affrontare prove ardue e a prendere decisioni difficili che però gli varranno un'inattesa ed epica ascesa verso l'indipendenza e l'affermazione personale, e anche la conquista di punti di riferimento affettivi.

Il profeta è un solido dramma carcerario che conta su un eccellente avvio: il momento dell'arrivo di Malik in prigione e quello della sua "iniziazione" da parte dei corsi sono narrati con eccitante asciuttezza e realismo. Più avanti, la narrazione in parte si disunisce e gli spunti più fecondi si disperdono nella profusione di dettagli di un plot fin troppo articolato; c'è da dire, nonostante questo, che il film non stanca neanche allo scoccare delle due ore e mezza di durata, grazie alla padronanza tecnica di Audiard, alla ricchezza di idee della curatissima sceneggiatura, e al talento del giovane Tahar Rahim, che incarna un personaggio complesso che intenerisce, affascina e inquieta nell'arco delle sue vicende.
Jacques Audiard, già premiato a Cannes nel 1996 per la sceneggiatura Un héros très discret, torna dunque sulla Croisette con un film che l'accoglienza calorosissima da parte della stampa, locale e non, proietta immediatamente tra i favoriti per la Palma d'oro della 62. edizione del festival transalpino. Non siamo ancora a metà della presentazione del concorso, ed è senz'altro precoce fare tali previsioni; quello che certamente si può dire è che Un prophète rappresenta la consacrazione delle doti di Audiard dopo la buona prova di Tutti i battiti del mio cuore, oltre che l'ennesima conferma dell'invidiabile vitalità e modernità del cinema francese.

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4.0/5