Recensione Generazione 1000 euro (2009)

L'ansia della leggerezza svuota inevitabilmente il racconto di aspetti potenzialmente illuminanti, ma il film sa non cadere mai nella frivolezza, sostituendo l'amarezza con un sapore piuttosto malinconico che si avverte in bocca in più di un'occasione.

Se potessi avere più di 1000 euro al mese

Il precariato ha abbattuto i limiti dell'ambito lavorativo, per sconfinare in un vero e proprio stile di vita, subito più che sposato. Amori che si faticano a mantenere, il suolo sotto i piedi che trema continuamente e rischia di far sprofondare, un futuro tra parentesi che non sa accordarsi con l'incertezza del presente. Per fronteggiare una situazione che appare così intollerabile, l'unica arma possibile sembra essere il sarcasmo. Il regista Massimo Venier, con Federica Pontremoli che co-sceneggia, la rende cifra stilistica della sua nuova commedia, che finalmente abbandona l'ingombrante comicità televisiva e i suoi esponenti più amati per cimentarsi con il variegato universo dei trentenni che non si riconoscono nel modello 'bamboccione' ma che non hanno i mezzi per compiere la propria realizzazione. Generazione 1000 euro ne descrive le difficoltà di sopravvivenza nell'inferno quotidiano, con l'affitto che non si riesce a pagare a fine mese, l'inutilità di un titolo di studio e di una passione di fronte alle leggi spietate del lavoro e l'instabilità degli affetti.

Non lontano dai canti generazionali degli ultimi anni pur proponendosi come variante più matura, il film di Venier racconta con grande garbo i paradossi del nostro tempo, ma la sua gioventù corrucciata non sa andare al di là del proprio tormento personale, castrando le opportunità di coloritura politico-sociale che avrebbe offerto un quadro più incisivo del problema. In una Milano dominata da un intrigo di palazzi e grattacieli che inscatolano i protagonisti, la realtà si esprime nei diversi modi di affrontare la propria condizione: l'attesa che le cose cambino, l'intraprendenza per far decollare una carriera, l'ottimismo di chi si impegna perché sa che così avrà la sua meritata ricompensa. Matteo è la voce che ci accompagna in questo resoconto leggero del faticoso vivere, dove il dubbio ha assunto i connotati della normalità. Rassegnazione e arrivismo si configurano come due estremi attraversati da spinte che portano sempre di fronte a un bivio: la scelta diviene momento fondamentale delle nostre esistenze e ad essa sono legati gli errori che determinano il loro corso.
L'ansia della leggerezza svuota inevitabilmente il racconto di aspetti potenzialmente illuminanti, ma il film sa non cadere mai nella frivolezza, sostituendo l'amarezza con un sapore piuttosto malinconico che si avverte in bocca in più di un'occasione. C'è un vuoto pneumatico nella nostra generazione e bisogna farci i conti, superando l'impasse della superficialità. I protagonisti del film hanno tutti almeno un motivo per farsi apprezzare, sono cervelli pensanti bravi ognuno nel proprio campo, umani e strambi al punto giusto. Gli attori che li interpretano sono per una volta davvero bravi: su tutti Valentina Lodovini che illumina il film con una sensualità e una bravura che meriterebbero un ruolo importante, ma è importante citare anche Paolo Villaggio, che trova un'incredibile profondità nella vecchiaia, mentre Alessandro Tiberi, rispetto al precedente L'amore non basta sembre avere acquisito maggiore coscienza dei propri mezzi. Qualche dubbio lo suscita un finale apparentemente suicida che mette la dignità e le leggi del cuore sopra di tutto. Siamo certi che sia ancora tempo per la favola di 'due cuori e una capanna'?