Recensione Caos calmo (2008)

Moretti è splendido ed unico interprete possibile di una storia che per la regia si affida alla mano sapiente di Grimaldi, occhio esterno su un film che trova così un equilibrio talmente perfetto che ci lascia abbandonare ad una emozione sobria, ma intensa.

Su una panchina per rinascere

Aveva già affrontato il difficile tema dell'elaborazione del lutto nel film vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes del 2001. Sette anni dopo La stanza del figlio, Nanni Moretti si spoglia con grande umiltà del ruolo di regista, adatta per il grande schermo una storia non sua, il romanzo premio Strega 2006 di Sandro Veronesi, e si fa protagonista di una nuova vicenda di malessere da contrastare e di rinascita legata a un altro lutto in ambito familiare. Stavolta la morte che sconvolge l'esistenza del Moretti attore è quella di una moglie probabilmente mai amata davvero, una condizione che blocca la sua disperazione, mantenendolo in un limbo di inquietudine e di sensi di colpa difficili da dipanare, dal quale è impresa faticosa uscire senza prima aver affrontato il mondo fuori. E Nanni Moretti è splendido ed unico interprete possibile di una storia che per la regia si affida alla mano sapiente di Antonello Grimaldi, occhio esterno su un film che rischiava di arrendersi al personaggio Moretti e che invece trova proprio in questo un equilibrio di toni così perfetto che ci lascia abbandonare ad una emozione sobria, ma intensa.

In Caos Calmo, Moretti diventa Pietro Paladini, eroe per caso tra le onde di un mare troppo agitato che tornato a casa si trova di fronte il corpo senza vita della propria moglie. Trovatosi improvvisamente solo, con una figlia piccola da crescere che bisogna imparare a conoscere nella sua quotidianità, Pietro mette da parte il suo mondo privato, fatto di lavoro, riunioni e impegni inderogabili, per aspettare seduto su una panchina, di fronte alla scuola della bambina, che ciò che gli scorre intorno lo tiri fuori da una critica immobilità che rischia di ghiacciargli il cuore. Destarsi dall'inerzia per ritrovare la voglia di stare nel mondo, tra gli altri, facendo uscire la disperazione soffocata in gola: ecco il percorso che Pietro Paladini intraprenderà stando seduto su quella panchina, aprendosi finalmente ai nuovi orizzonti dei rapporti umani. Storia asciutta, essenziale, che scuote senza urlare, evitando intelligentemente eventi clamorosi (il pianto e il sesso nel film intervengono solo per sottolineare, ma avrebbero benissimo potuto non esserci) e si fa accumulo di sensazioni minime che ci accarezzano.

Moretti, insieme a Laura Paolucci e Francesco Piccolo, fa suo il libro di Sandro Veronesi, si cuce addosso un personaggio dolente ed ironico che affronta a modo suo le tragedie della vita, aspettando in modo inedito che l'inevitabile dolore finalmente giunga e trovi un'appropriata valvola di sfogo. E nell'attesa che questo accada, il tempo passa, scandito dal susseguirsi delle figure che nel corso del film sfiorano il protagonista, facendo sbocciare tante piccole storie che inaugurano per lui una nuova primavera. Accanto a Moretti, uomini e donne dai differenti volti. I primi sono espressione di un mondo del lavoro fatto di intrighi e sgambetti, ma parte della vita da accettare nel suo disordine, mentre le donne si avvicinano all'uomo per scuoterlo, dando voce alla sua coscienza, per far sì che il caos calmo dentro il quale è intrappolato conduca infine alla resa dei conti con il proprio dolore mancato e ne determini la guarigione. Seducente l'umanità di tutti i personaggi, pennellati con grande maestria dagli sceneggiatori e dalla regia misurata di Grimaldi.

A convincere di Caos Calmo è quindi soprattutto la sua delicatezza nell'affrontare un tema così ostico, e la tenerezza dei rapporti umani che mostra, a partire da quello padre-figlia, due figure chiave a confronto per superare insieme un punto di non ritorno. La pellicola di Grimaldi è finalmente cinema non spiegato, che si affida a ellissi che stimolano il pensiero dello spettatore, chiamato a riempire gli spazi lasciati intenzionalmente vuoti in una storia che procede per singole immagini. E a dominare tra queste è sicuramente quella dell'abbraccio, perché Caos Calmo è film ricco di abbracci, consumati con gentilezza in una piazza, vicino a una panchina, che vanno a rivelare il bisogno del protagonista di sentire chi gli sta intorno, di riscoprirsi parte del mondo, raggiungendo nuove certezze, la consapevolezza che la vita può sempre essere ritrovata nell'altro. E in questo senso gli incontri che si susseguono nel luogo che Pietro Paladini ha scelto di abitare durante il giorno offrono un'emozione sincera che abbraccia perfino lo spettatore, suggerendogli che la possibilità di una rinascita, a partire dalle cose semplici, non è utopia in una società dominata dall'indifferenza come la nostra. Qualche perplessità la desta una gestione non perfetta di alcuni personaggi (in particolare quelli maschili, legati alla sottotrama di macchinazioni in ambiente lavorativo che soffrono di una confusione difficile da sbrogliare) e alcuni passaggi sproporzionati in un film che procede per sottrazione (come il discorso toccante, ma fin troppo perfetto, della figlia nel finale o la famosa e inoffensiva scena di sesso che nulla aggiunge in un film che fino a quel momento non aveva fatto registrare affanni), ma sono pecche ampiamente perdonabili in un film italiano che finalmente convince per il suo equilibrio nel raccontare un evento sempre a rischio patetico. Grande garbo poi nella scelta della colonna sonora, a cominciare dalle musiche originali di Paolo Buonvino che con la semplicità di un quartetto d'archi e un pianoforte ricama vellutate trame sonore che ben si appoggiano alla sensibilità della storia. In concorso al Festival del cinema di Berlino 2008, Caos Calmo è finalmente un film italiano che può calcare a testa alta il tappeto rosso del grande evento.