Recensione Una canzone per Bobby Long (2004)

Lo script risulta eccessivamente verboso per riuscire a dipanare la storia, ma grazie alle interpretazioni, non mancano i momenti buoni e di una certa intensità...

Alcool e libri per ritrovare il passato

Shainee Gabel, dopo vari successi nel campo dei documentari, debutta nei lungometraggi con un film per il cui script ha lavorato ben cinque anni (il film è liberamente tratto dal romanzo Off East Magazine St. di Ronald Everet Capps). Il problema è che un parto così lungo ha avuto le sue pesanti ripercussioni su un'opera che sarà ricordata soprattutto per il bel titolo.

Purslane Hominy Will (Scarlett Johansson), una ragazza piuttosto triste e stressata, ritorna a New Orleans, la città della sua infanzia, dopo aver appreso della morte della madre. Pursy trova però la casa abitata dall'ex professore di letteratura Bobby Long (John Travolta) e dal suo allievo-pupillo Lawson Pines (Gabriel Macht), che dimoravano appunto con la defunta Lorraine. I due, intellettuali tutto libri e bottiglia (tanta bottiglia), vivono una vita trasandata, che li porta spesso a vivere una realtà sognante e letteraria, e cercano di ingannare la ragazza sulla reale proprietà della casa.
I tre si troveranno ben presto a vivere tutti assieme, e ovviamente i rapporti da burrascosi diventeranno via via più stretti (i due avvieranno la ragazza a una brillante carriera scolastica), grazie a una continua reciproca conoscenza che li porterà a scoprire i segreti del proprio passato.

Il tema, seppur non certo originalissimo, potrebbe essere buono se sviluppato in modo adeguato. Il problema è che nonostante la bella cura per la fotografia di un'affascinante e afosa New Orleans quotidiana, il film si impantana in un ritmo quasi ipnotico e risulta eccessivamente verboso per riuscire a dipanare la storia. Peccato perché gli attori la loro parte la fanno egregiamente: la giovanissima Scarlett Johansson conferma la sua già affermata bravura, mentre John Travolta è davvero gustoso nel ruolo di derelitto alcolizzato che cerca di evadere dalla realtà tramite i romanzi, tanto da desiderare fortemente di divenire esso stesso un racconto. Anche Gabriel Macht risulta convincente, ma il cast appare come frenato da uno script che non scorre via liscio.

Nonostante questo, grazie (va ribadito) soprattutto alle interpretazioni, non mancano i momenti buoni e di una certa intensità, fra tutti quelli della coppia "staccata dal mondo" e fiera di esserlo, che non vuole intrusioni alla vita che hanno scelto dopo un fatto traumatico che ben presto tornerà a galla. Ma la confezione totale appare come spalmata di melassa, e il finale toccante ma piuttosto telefonato non aiuta a lasciare un bel ricordo.

Movieplayer.it

3.0/5