Recensione Good Bye, Lenin! (2003)

Ancorati al passato in un mondo che cambia, i protagonisti di "Goodbye, Lenin!" vivono la confusione propria di chi assiste al finire di un'epoca e affronta un mondo che stenta a riconoscere.

Bugie e confusione al di là del Muro

Christiane Kerner viene colta da infarto vedendo suo figlio maltrattato dalla polizia durante una manifestazione contro il governo e finisce in coma. Al suo risveglio, otto mesi dopo, il 1989 è già scivolato nel 1990 ma non è solo un anno ad essere cambiato, bensì l'intero mondo in cui lei viveva e credeva: il sistema politico della Germania Est è svanito nel nulla, il muro di Berlino è crollato e l'occidente ha invaso le strade e le menti della sua nazione come una mareggiata.
Come può sopportare tutto ciò? Come può accettarlo?
Non può, o almeno così pensa suo figlio Alex, che decide di tenere in vita quel mondo per lei, ancora un po', il tempo necessario perchè stia meglio e possa accettare i cambiamenti che di giorno in giorno si fanno sempre più evidenti.
Il rischio di non riuscire a sviluppare in modo equilibrato ed adeguato uno spunto così interessante era alto, ma Wolfgang Becker è riuscito a dirigere un film gradevole, alternando momenti di tenerezza e leggerezza a momenti più seri e introspettivi. In modo particolare, è interessante lo spaccato della Germania dell'est post muro di Berlino, anche se lasciato in background; interessante soprattutto considerato il poco spazio che questo evento ha avuto al cinema.
In questa nuova Germania che muta intorno ai protagonisti, la difficoltà più grande è trovare un equilibrio, in se stessi, e con gli altri, tra il vecchio e il nuovo, tra la sobrietà orientale e l'esuberanza occidentale.
Alex, un buon Daniel Brühl, non accetta questa situazione e la fugge, rifugiando sé e la madre in un mondo che non è più, e che forse non è mai stato. Riproduce per lei cibo, abiti, mobilia del vecchio Stato. Con l'aiuto dell'amico Denis (aspirante regista), produce anche dei finti telegiornali che trasmette sulla tv della madre, in un crescendo di bugie sempre più grandi e articolate per coprire, giustificare, spiegare una situazione che si fa via via più insostenibile con il passare del tempo.
In realtà, potremmo dire che Alex mente a se stesso, più che alla madre, preservando ed enfatizzando un mondo utopico che forse esisteva solo dentro di loro.
Intorno a loro gravitano le reazioni delle diverse tipologie di individui: da quelli proiettati senza indugio verso la nuova era, a quelli che rimpiangono il passato e sono critici verso la società capitalistica che li sta invadendo.
La regia di Becker è semplice, senza per questo risultare banale: segue la storia e si adatta a lei, seguendone il ritmo senza imporsi troppo, con qualche accellerazione e trovata che dà ritmo alla narrazione senza distogliere lo spettatore dai personaggi, i loro dubbi, le loro insicurezze, aiutato da una sceneggiatura che sviluppa bene lo spunto di partenza, sapendo divertire e commuovere con intelligenza.

In più, Becker si concede qualche citazione cinematografica, soprattutto a Stanley Kubrick, sia esplicita (il dichiarato omaggio di Denis a 2001: Odissea nello spazio nel filmino del matrimonio a cui sta lavorando), sia implicita.

Movieplayer.it

3.0/5