Recensione Fuori menù (2008)

L'opera di Velilla non suggerisce alcuna ricetta all'evoluzione della famiglia in quest'epoca, ma si diverte a prendere nota dei cambiamenti in corso e delle difficoltà che ne conseguono per adattarsi ad essi. Lo fa col sorriso sulle labbra e un sincero ottimismo di fondo, ed è già una gran cosa.

L'amore è servito

I gay vanno presi per la gola, in senso culinario s'intende. Nella Spagna di Zapatero i diritti civili sono ormai una bella conquista, ma le sacche d'arretratezza in tema di tolleranza e accettazione (di sé stessi e degli altri) ancora resistono e con l'ignoranza non si finisce mai di fare i conti, purtroppo. Fuori Menù, scoppiettante commedia degli equivoci diretta dall'esordiente Nacho G. Velilla, va a indagare lo stato delle cose nella Madrid dei giorni nostri, che ha trovato nel quartiere di La Chueca un'oasi di rispetto e di buona cucina, con un tono leggero, un umorismo poco politically correct e qualche macchietta di troppo che nel fotografare la situazione piegandola alle esigenze narrative rischia l'effetto boomerang. Ad alimentare il racconto divertenti contrasti, segreti e i doveri dell'amore; su tutto l'orgoglio come linea guida nella vita.

Mattatore di Fuori menù è Javier Cámara, un volto buffo reso noto dal cinema di Pedro Almodóvar, che qui interpreta uno chef, proprietario di un ristorante di cucina creativa, col sogno di conquistare una stella Michelin. La strada per le stelle è però contorta e a scombinare i suoi piani giungono improvvisi due figli già grandi, frutto di un matrimonio azzardato nel passato, un aitante ex calciatore argentino per cui perdere la testa e un gruppo di dipendenti che sembrano non riuscire mai a soddisfare le sue esigenze. Regista di serie tv, tra cui la versione spagnola del nostro Un medico in famiglia, Velilla affina il suo tocco, senza però sfruttare le potenzialità del cinema, confinando la verve sopratutto nei dialoghi. Gli inserti animati provano a dare colore alla pellicola, virandola in una fiaba che mantiene comunque i suoi scomodi accenti di realtà. Perché qui si parla di famiglie che si allargano senza provare timore o vergogna: alla fine della fiera ciò che contano sono le persone, i loro bisogni e i loro sentimenti, costretti a scontrarsi con le responsabilità e la tolleranza per cementare i rapporti.
Gli sceneggiatori del film non si sottraggono però alla tentazione di puntare sullo stereotipo per rendere più vispa la commedia, ma la caratterizzazione dei personaggi appare a tratti fin troppo eccessiva, tra l'isterismo insopprimibile del protagonista, la lacrimevole insoddisfazione di una zitella alla ricerca di un uomo per la vita e l'immancabile capatina del gay tra le cosce di una donna. Meglio definiti i personaggi più giovani (i figli) che restituiscono con gusto le contraddizioni della loro generazione, ma anche la speranza di quella necessaria apertura che in essa è riposta. Fuori menù è quindi un'opera ben cucinata, che riesce ad amalgamare bene i suoi ingredienti, senza comunque proporre nulla di particolarmente innovativo. D'altronde la stessa cucina creativa che si pratica nel ristorante del protagonista è destinata a cedere il passo a una gastronomia meno raffinata e più popolare. L'opera di Velilla non suggerisce alcuna ricetta all'evoluzione della famiglia in quest'epoca, ma si diverte a prendere nota dei cambiamenti in corso e delle difficoltà che ne conseguono per adattarsi ad essi. Lo fa col sorriso sulle labbra e un sincero ottimismo di fondo, ed è già una gran cosa.