Giulio Pezza, il mestiere del make-up

Quattro chiacchiere con il make up artist che ha lavorato a lungo con Ermanno Olmi, anche per l'ultimo film del regista, 'Il villaggio di cartone'. Dagli inizi 'inconsapevoli', fino al lavoro su tanti set italiani, e qualche set internazionale, tra cui Titanic e Apocalypto.

Dai villaggi turistici al Villaggio di Cartone di Ermanno Olmi. Questa, semplificando, potrebbe essere la storia di Giulio Pezza, make up artist che abbiamo intervistato per una lunga chiacchierata sul suo lavoro, dagli esordi fino all'affermazione come truccatore cinematografico per autori come Olmi, Virzì, i fratelli Taviani, Gianni Amelio, ma anche come collaboratore sul set di grandi produzioni internazionali come Titanic.

La storia del tuo percorso professionale è molto affascinante, secondo me. Prima di farti qualche domanda sulla tua carriera però, vorrei sapere qualcosa sul tuo ultimo lavoro. Non è la prima volta che lavori per Ermanno Olmi, su che basi si fonda la vostra collaborazione?

Mi piacerebbe non parlare di carriera, ma di percorso professionale, perché altrimenti rischio di sembrare antipatico e spocchioso, cosa che non corrisponde a ciò che sono. Pur essendo relativamente giovane, nel mio settore infatti, non si arriva mai, ed è meglio stare con i piedi ben saldi a terra. Come dico sempre, alla fine sono solo un truccatore cinematografico.
La collaborazione con Olmi è iniziata nel 2001 quando sono stato chiamato dalla costumista Francesca Sartor per Il mestiere delle armi. Avevo 31 anni e già da qualche anno che facevo il capo truccatore. Leggendo il copione mi rendevo conto che mi avevano affidato un progetto molto grande e questo mi rendeva orgoglioso impaurendomi al contempo, terribilmente. Però l'adrenalina della sfida è sempre stata fondamentale per la mia crescita professionale e quindi accettai. L'esperienza fu straordinaria sotto il profilo lavorativo e quello umano: era come essere all'università del cinema ed avere come professore un regista di grande importanza e di enorme cultura. Spesso la mattina per colazione sedevo con lui e ci facevamo lunghe chiacchierate. Mi spiegava i personaggi e la sua visione del film, ed io in silenzio mi godevo i suoi racconti su Giovanni De Medici, narrati con l'attenzione e il sogno di chi ama il suo lavoro. Alla fine delle riprese mi invitarono alla prima e mi resi conto subito che il Maestro Olmi oltre ad aver creato un capolavoro cinematografico, era riuscito a tirare fuori tutte le mie capacità artistiche (tra virgolette) riuscendo a farmi fare cose, che fino a quel momento non avrei mai pensato di saper fare. Nel 2003 mi chiamarono per Cantando dietro i paraventi e fu una grande soddisfazione essere stato riconfermato. Nel 2007, dopo la lavorazione di Centochiodi, Olmi ci comunicò che si trattava del suo ultimo lungometraggio. Si trattava di una triste notizia ma in cuor mio ero sicuro che un uomo di cinema come lui, sarebbe ritornato dietro la macchina da presa. Così siamo arrivati al 2010. Pochi mesi fa, con immenso piacere sono stato chiamato per il mio quarto film Il villaggio di cartone. Fortuna o bravura? Non lo so. So per certo di essere stato un privilegiato per aver lavorato tanto con lui e per questo, non me ne vogliano gli altri registi, Ermanno Olmi rimane il mio Maestro.

A quanto ne so, Il villaggio di cartone sarà una storia che affronterà il tema dell'immigrazione. In che modo stai sviluppando il tuo lavoro per questo film? Hai fatto delle proposte creative, o hai seguito delle direttive che poi ha sviluppato in modo personale?
Il villaggio di cartone affronta il tema dell'immigrazione con realismo, e al tempo stesso con la poesia del racconto e dell'immagine che distingue Olmi. E' in lavorazione per cui non posso aggiungere dettagli. Vi invito ad andare al cinema per ammirare l'opera del regista. Fare proposte creative è il mio lavoro, ma non sono il solo a realizarle, infatti, quando nasce un personaggio c'è un lavoro di squadra intorno, fatto dal regista, il costumista, il truccatore ed il parrucchiere che agiscono insieme per ottenere il risultato migliore.

Quali sono state le difficoltà maggiori e le soddisfazioni più grandi del lavoro svolto per questo film?
Le maggiori difficoltà, sono state comunque prove stimolanti e si sono concentrate tutte nella creazione dei personaggi di Rutger Hauer, Michael Lonsdale ed Alessandro Haber.

Tu hai iniziato a fare questo lavoro quasi per caso, anche se grazie ad un grande make up artist, Giulio Mastrantonio. Il figlio di Giulio, Enzo, è un tuo amico, e insieme a lui, hai iniziato lavorare prima come comparsa, e poi come assistente truccatore. Che ricordi hai del periodo in cui facevate le comparse? C'è un set o un'esperienza, in particolare, che non dimenticherai mai?
Mi piace sempre cogliere ogni occasione per salutare e ringraziare Giulio Mastrantonio che mi ha dato la possibilità di conoscere questo lavoro e di diventare un professionista. I ricordi di quando facevo la comparsa sono tanti e davvero piacevoli. Già solo il fatto di avere anni ci faceva divertire molto e con molto poco. Enzo Mastrantonio è uno dei miei fratelloni. Ci conoscevamo fin da bambini e questo, sicuramente rendeva tutto ancora più speciale.

In seguito, hai debuttato come assistente truccatore di Enzo Mastrantonio in maniera del tutto casuale, sul set del tv-movie La valigia rossa. E' stata in quell'occasione che hai deciso che avresti fatto questo lavoro, oppure il passaggio è stato più graduale? Sei passato dal lavoro di DJ nei villaggi turistici al set di un film, una svolta decisamente netta...
Da adolescenti si è in costante ricerca della propria strada. Facevo il DJ ma non era quello il mestiere che volevo fare per sempre. Poi mi è capitato di fare da assistente al trucco e da allora, gradualmente, ho imparato e voluto seguire, questa via ed amarla fino a rendere il cinema, parte integrante della mia vita. Il vero debutto è stato però con Giulio Mastrantonio con il quale ho fatto il mio primo film intero. Si chiamava Ma tu mi vuoi bene? con Johnny Dorelli e Monica Vitti. Ci tengo però a ricordare anche gli altri truccatori che hanno accompagnato la mia giovinezza professionale con i loro insegnamenti: Alberto Blasi e Maurizio Trani.

Oltre che con Ermanno Olmi, hai collaborato spesso anche con Vincenzo Salemme e una volta anche con Benigni, per uno dei suoi film più divertenti, Il mostro. Che ricordi hai delle esperienze con questi due talenti della nostra commedia?
In quel periodo ero un assistente truccatore, perciò vivevo il set dodici ore al giorno. Ho molti ricordi belli. Con Benigni ci si divertiva molto, anche se sul set si respirava l'importanza del film. La troupe era composta da grandissimi professionisti italiani e questo m'intimoriva un po', ma poi attraverso la leggerezza, l'ironia e la sua vasta cultura, Benigni riportava tutto alla normalità.
Di Salemme ricordo con affetto il primo film insieme, L'amico del cuore. Era tutto molto familiare e anche lì, c'era un gruppo di attori fantastici. Durante le riprese non si riusciva a girare per le risate. Ad oggi L'amico del cuore rimane il film durante la lavorazione del quale ho riso di più.

Nel tuo curriculum figurano anche collaborazioni di prestigio per film come Mission: Impossible 3, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Apocalypto - che a parer mio ha nel make up uno dei suoi punti di forza - e Titanic di James Cameron. A proposito di queste ultimi due film, vorrei chiederti come ti sei trovato a lavorare con il 'Re del Mondo' e con un personaggio controverso come Mel Gibson. Hai avuto occasione di confrontarti con loro, oppure no?

Nelle grandi produzioni americane, ognuno ha il suo ruolo specifico dentro una scala gerarchica e solo il capo reparto si confronta con i registi direttamente. Spesso le troupe sono composte da 500 persone, come nel caso di Apocalypto o da 1.300 per Titanic e a volte neanche si riesce a conoscere tutti i suoi componenti. Di Titanic ho un ricordo straordinario. Il primo giorno si girava l'imbarco, c'erano 2000 figurazioni, compreso il cast al completo e vidi in quell'occasione, per la prima volta, la nave. Era enorme, così come il set. Mi sentivo così piccolo in mezzo a loro. Mi torna alla memoria l'amicizia che si era instaurata con Kate Winslet che oltre ad essere una grande attrice si dimostrò pure un'ottima cuoca. Spesso c'invitava a cena a casa sua per prepararci la pizza. L'esperienza fatta in questo kolossal è stata davvero eccezionale.
Apocalypto rimane il più interessante sotto il profilo professionale. In quel film il trucco era il vero protagonista e occorrevano anche sei ore per ogni attore affinché il loro personaggio fosse completato, prima delle riprese. E' stata un'ingiustizia, non aver fatto vincere l'oscar ad Aldo Signoretti e Vittorio Sodano (i capi reparti del film) per il loro lavoro, realmente straordinario. Ma questa è un altra storia.

Qualche anno fa i tuoi colleghi americani hanno diffuso una classifica sulle star che richiedono poco lavoro, in sala trucco, perchè belle anche al naturale, e ai primi posti figuravano Scarlett Johansson, Kate Winslet e Catherine Zeta-Jones, per le donne, e Orlando Bloom, Jake Gyllenhaal e Johnny Depp, per gli uomini. Dovendo stilare una tua classifica sulle celebrità nostrane più facili da truccare, chi metteresti ai primi posti?

Non si possono fare classifiche con i personaggi che richiedono meno trucco perché ogni film ha le sue esigenze. Voglio però parlare del cast di Ho sposato uno sbirro dove c'erano attori bravissimi oltre che piacevolissimi da truccare, come il mio amico Flavio Insinna, attore e presentatore straordinario o Christiane Filangieri, Antonio Catania, Barbara Bouchet, Giovanna Ralli e Luisa Corna. E' stato davvero bello lavorare con loro per due serie consecutive.

Immagino che non sia facile conciliare le esigenze più strettamente "tecniche" del tuo lavoro, e la vanità delle star che si sottopongono al trucco. E' così, oppure gli attori si affidano alla tua esperienza?
Ci sono attrici che bisogna convincere ad essere meno belle del solito perché magari il film richiede un invecchiamento o il copione le richiede molto diverse dalla loro immagine abituale. Proprio in questo momento, il truccatore, deve essere un ottimo psicologo e saper consigliare per arrivare al risultato voluto dal regista.

Tornando al periodo in cui lavoravi come comparsa, hai detto che ti faceva piacere vedere dal vivo le attrici più belle di allora. Tra le attrici del passato e di oggi - anche quelle che non ci sono più - chi avresti piacere ad accogliere in sala trucco?
Tanti. Il mio mito era Alberto Sordi. Ho sempre sognato di lavorare con lui ma non sono stato cosi fortunato. L'attrice che avrei voluto truccare è Anna Magnani, ma non ho avuto il piacere. Ciò non toglie che loro due, rimarranno per sempre, le mie icone del cinema italiano.

Pur rendendomi conto che il trucco cinematografico e quello della vita di tutti i giorni sono diversi, che consigli daresti ad una donna, in termini di make up? Quali sono gli errori più frequenti che ti capita di notare, e quali segreti hai imparato nel corso della tua carriera, che possono essere applicati anche alla quotidianità?

Oggi, la differenza tra il trucco che una donna si applica giornalmente ed il trucco cinematografico, è molto poca se non fosse che il 50% delle donne si trucca in macchina mentre va al lavoro in cinque minuti mentre noi abbiamo una sala trucco a disposizione e molto più tempo per fare un look. Il consiglio che mi sento di dare alle donne è quello di trovare il giusto equilibrio tra trucco, pettinatura e vestito, perché l'eleganza e la femminilità corrono su un filo: basta una virgola di troppo per cadere nella volgarità o nell'eccesso.