Recensione Roman Polanski: A Film Memoir (2011)

Più che di un documentario vero e proprio, si tratta di una lunga intervista da parte dell'amico e produttore storico Andrew Braunsberg, e questa caratteristica è al tempo stesso punto di forza e debolezza del film di Bouzreau.

Una vita da film

Quando, nel settembre del 2009, il settantaseienne regista Roman Polanski si recò a Zurigo in occasione del Zurich Film Festival per ritirare un premio alla carriera, nonostante l'invito ufficiale promettesse (ironia della sorte) emozioni ed eccitazione, di certo non poteva aspettarsi di venire arrestato all'aeroporto e di passare i successivi 9 mesi tra carcere e arresti domiciliali. Esattamente due anni dopo, ormai uomo libero, allo stesso festival svizzero è stato eccezionalmente e ironicamente presentato, in anteprima mondiale, questo Roman Polanski: A Film Memoir, documentario diretto da Laurent Bouzereau, ora presente fuori concorso anche all'edizione numero 65 del Festival di Cannes e subito a seguire anche nelle sale italiane, prima di arrivare nelle librerie del nostro paese all'inizio del 2013 (in occasione dell'ottantesimo compleanno del regista) grazie a Feltrinelli Real Cinema.


Si tratta di un film che colpirà soprattutto coloro che della tragica vita del regista di Rosemary's Baby conoscono ben poco, ma che potranno rivivere in pieno - dall'infanzia nella Polonia occupata dai nazisti alla fuga dagli Stati Uniti dove era in attesa di essere processato per aver fatto sesso con una minorenne, passando ovviamente per il brutale omicidio della moglie incinta, la splendida attrice Sharon Tate - attraverso le stesse parole di Polanski, i suoi sguardi carichi di dolore, le lacrime sincere di un uomo che passato la vita a dirigere per il grande schermo storie assurde e sensazionali, ma che mai potrebbero eguagliare il crudele destino affidatogli dalla sorte.

Più che di un documentario vero e proprio, quindi, si tratta di una lunga intervista da parte dell'amico e produttore storico Andrew Braunsberg, ed è questa caratteristica al tempo stesso punto di forza e debolezza del film: la pellicola nei suoi momenti migliori funziona proprio grazie alla familiarità dell'intervistatore che permette a Polanski (solitamente, e giustificatamente, come si evince dal film stesso, poco incline a raccontarsi davanti alla stampa) di aprirsi e affidarsi completamente, regalandoci così non solo una storia dettagliata e ben raccontata, ma anche curiosi aneddoti e soprattutto un reale senso di commozione nei passaggi più delicati; al contrario però, è proprio l'eccessivo coinvolgimento motivo dell'intervistatore, la sua mancanza di coraggio, in alcuni di frangenti, nel fare le domande giuste e di insistere sugli argomenti più scomodi, a non permettere mai al documentario di decollare e di regalarci un ritratto più completo, più contraddittorio e realistico di una figura così discussa quale è Roman Polanski.

Quello che rimane quindi di questo film - che può vantare anche una co-produzione italiana nella figura di Luca Barbareschi, che ha lavorato proprio con Polanski a teatro tredici anni fa - è il racconto di una vita particolarmente interessante, unica per certi versi, ma che purtroppo rimane appunto solo un racconto; il film di Bouzereau non si sforza mai di documentare realmente e approfonditamente né le vicende personali e legali (per quello c'è il ben più interessante film di Marina Zenovich, Roman Polanski: Wanted and Desired, a cui dovrebbe seguire a breve anche Roman Polanski: Odd Man Out) né quelle puramente cinematografiche, considerato che si sofferma principalmente sugli esordi e ovviamente su Il pianista, un film strettamente legato al passato del suo regista, tanto da renderlo ancora oggi il film della vita, quello che più di qualsiasi altro considera il suo vero testamento artistico.

Se infatti grazie alla bella Emmanuelle Seigner ha ritrovato col tempo l'amore e la possibilità di costruire finalmente una famiglia felice, e se i problemi legali sembrano, almeno per il momento, risolti, la certezza che ci regala questo Roman Polanski: A Film Memoir è che proprio quel tragico passato raccontato in modo eccellente ne film che gli ha regalato il suo unico Oscar è quello che continuerà per sempre a tormentarlo fino alla sua morte, un orrore talmente grande che può essere raccontato mille volte ma che mai potrà né dovrà essere dimenticato.

Movieplayer.it

3.0/5