Recensione Después de Lucía (2012)

Questa seconda opera di Michel Franco conferma la limpida capacità del regista messicano di raccontare per immagini, con una storia emotivamente molto dura, che senza ricatti tocca le giuste corde, facendo vibrare lo spettatore di indignazione e rabbia.

Un silenzioso inferno

Sei mesi dopo la morte di sua moglie in un incidente stradale, Roberto si trasferisce da Vallarta a Mexico City con sua figlia Alejandra, con l'intenzione di iniziare una nuova vita. La ragazza, adolescente, sembra dapprima adeguarsi meglio di suo padre al nuovo ambiente: mentre l'uomo - che ha trovato lavoro come cuoco in un ristorante - è depresso e costantemente nervoso, finendo spesso per litigare con i suoi colleghi, sua figlia si inserisce bene nella sua nuova classe, legando subito con i compagni. Le cose cambiano quando, durante una festa, Alejandra ha un rapporto sessuale con un compagno di classe che si era infatuato di lei; il giovane filma il rapporto con il suo telefonino, e il giorno dopo il video finisce in rete. Da allora, Alejandra viene emarginata e fatta oggetto di atti di bullismo sempre più pesanti da parte di tutti i suoi compagni: dapprima la ragazza subisce l'isolamento e una serie di battute e ammiccamenti, poi delle vere e proprie umiliazioni fisiche e psicologiche. La ragazza, tuttavia, sceglie di vivere la sua sofferenza in silenzio, mentre suo padre, ancora preso dall'elaborazione del suo lutto, non sembra accorgersi di niente. Ma una gita scolastica, in cui le cose vanno inevitabilmente troppo in là, finirà per far emergere la drammatica verità.

Una delle migliori sorprese, nonostante l'estrema durezza del soggetto, della sezione Un Certain Regard di questa sessantacinquesima edizione del Festiva di Cannes, è certamente questo Después de Lucìa. Il regista Michel Franco, d'altronde, era già stato presente sulla Croisette (nella Quinzaine des Realisateurs) col suo primo lungometraggio Daniel & Ana; questa sua seconda opera conferma la limpida capacità del regista messicano di raccontare per immagini, con una storia emotivamente molto dura, che senza ricatti tocca le giuste corde, facendo vibrare lo spettatore di indignazione e rabbia. Il digitale grezzo, senza orpelli, della fotografia, l'assenza di colonna sonora e la semplicità della messa in scena, mettono in luce il notevole lavoro di sceneggiatura e di direzione degli attori che stanno dietro al film; Roberto e Alejandra sono due caratteri perfettamente delineati, credibili nel loro spaesamento e nei loro tentativi di superare un evento (la perdita improvvisa di una persona cara) tale da lasciare una ferita che si riverbera in ogni aspetto della vita quotidiana. La recitazione dal taglio naturalistico dei due attori protagonisti aiuta in modo semplice ed efficace l'empatia: sul volto di Roberto, plumbeo e chiuso nel suo mondo, leggiamo la presente incapacità di un uomo di rapportarsi alla realtà, mentre lo sguardo distante di sua figlia nasconde una sofferenza costantemente trattenuta, a volte solo incrinata da una lacrima, anche quando le umiliazioni diventano insopportabili.
Ma è anche la puntuale descrizione del contorno, dell'ambiente sociale in cui i due protagonisti si trovano immersi, a stupire e a convincere per la sua credibilità: mentre intorno all'uomo si muove una città indifferente o addirittura ostile, Alejandra finisce per subire (letteralmente) sulla sua pelle la crudeltà di un microcosmo, come quello liceale, che in situazioni simili fa emergere il suo lato più bestiale. Il vero e proprio inferno subito dalla ragazza colpisce per la lucidità e il rigore con cui viene rappresentato, senza cedere nulla in termini di spettacolarizzazione dell'emotività, ma risultandone ugualmente in un ritratto per molti versi sconvolgente. Quello che emerge in modo chiaro e credibile, e che il film mette efficacemente in risalto, è inoltre quella che viene spesso definita la "banalità del male": nessuno dei giovani torturatori di Alejandra sembra rendersi conto della gravità delle violenze a cui sta sottoponendo la ragazza, e la leggerezza con cui queste vengono compiute suggerisce la presenza di un vero e proprio oblio della coscienza. Far soffrire qualcuno, per i giovani aguzzini, è solo un altro modo di far passare il tempo, e il confine tra un comportamento normale e uno deviante appare più labile di quanto ci farebbe piacere pensare. Ed è proprio l'ancoraggio alla realtà, la consapevolezza che storie come quella narrata nel film possono accadere (e accadono) in ogni parte del mondo, a rappresentare il valore aggiunto di Despues de Lucia: una peculiarità che ovviamente non esaurisce, in sé, la riuscita del film, ma che lo arricchisce rendendolo un'opera socialmente importante, oltre che artisticamente preziosa.

Movieplayer.it

4.0/5