Recensione Il buio oltre la siepe (1962)

Il film segue la struttura narrativa dello splendido romanzo da cui è tratto, ed è fedele ai ritmi e alle atmosfere creati da Harper Lee.

Un eroe da Oscar

Il sud degli Stati Uniti è luogo ai margini delle volute della storia e degli sconvolgimenti sociali; una terra polverosa, enorme, incantevole, con le sue tradizioni e i suoi enigmi, una terra abitata da gente ospitale, cordiale, orgogliosa. Una terra abitata dal pregiudizio.
In un sonnacchioso villaggio dell'Alabama che orbita in questo bizzarro universo crescono i piccoli Finch, i figli dell'avvocato Atticus, che, rimasto vedovo, li alleva con l'aiuto della domestica di colore Calpurnia. Nel mondo infantile di Scout e Jem le vittime e i carnefici di una società ingiusta sono personaggi di una recita, sono i mostri e gli eroi di innocue fantasie. Questo almeno fino a che il tempo non rivela loro la triste realtà dell'egoismo umano e la follia dell'odio razziale, ma anche la statura morale del loro genitore, che avevano sempre visto come un "vecchio" ammuffito tra le scartoffie, persino un po' inetto e barboso.

Il film segue la struttura narrativa dello splendido romanzo da cui è tratto, ed è fedele ai ritmi e alle atmosfere creati da Harper Lee: come il libro della Lee, Il buio oltre la siepe si presenta come una dolcissima elegia ad un'infanzia lontana, quella di Scout Finch, e ne ritrae le estati, i giochi, le avventure, tra cui le spedizioni verso la minacciosa dimora dei Radley, una famiglia isolata dal resto della comunità a causa della malattia mentale del figlio Arthur, detto "Boo" - ma si trasforma nell'epica di una battaglia contro l'iniquità e il pregiudizio: una battaglia in cui l'uggioso Atticus Finch diviene l'eroe degli ideali di uguaglianza e rispetto, e il presunto "orco cattivo" Boo Radley si trasforma nell'epitome dell'innocenza emarginata e minacciata da una realtà cieca e crudele.

Ci sono tante cittadine come la minuscola Macomb, e tanti paladini invisibili come Atticus Finch: è proprio l'umiltà il cuore di questa storia indimenticabile, è l'umiltà che permette di emozionare senza retorica, l'umiltà che fa sì che chi crede in un mondo più equo ed umano possa accettare sconfitte e umiliazioni, sulla strada verso la consapevolezza che è l'unico premio per i loro sforzi: la consapevolezza che un passo alla volta, un sacrificio alla volta, sarà possibile ottenere un po' di giustizia.
Tutto questo è narrato splendidamente grazie all'equilibrata ed essenziale regia di Mulligan e soprattutto grazie alle prove di recitazione degli attori; su tutti Gregory Peck, che ottenne il ruolo del protagonista nonostante la produzione avesse pensato inizialmente di affidarlo a Rock Hudson, e che calzò con tale agio i panni di Atticus Finch che Harper Lee volle regalargli l'orologio di suo padre, per ringraziarlo di averlo fatto rivivere, e Robert Duvall, straordinario al suo esordio nel difficile ruolo del misterioso Arthur "Boo" Radley.

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4.0/5