Recensione Colour from the Dark (2008)

Quattro anni dopo la sua realizzazione, l'interessante horror di Ivan Zuccon approda finalmente in sala, rompendo una decennale "invisibilità" del suo cinema nel nostro paese.

Un colore finalmente visibile

Siamo in un imprecisato paesino dell'Italia rurale, nei primi anni '40. Pietro e Lucia sono due contadini poveri che vivono in un casolare di campagna insieme ad Alice, la sorella della donna; la ragazza è affetta da mutismo e da seri problemi psichiatrici che la spingono a comportarsi come una bambina. Un giorno, mentre Alice è al pozzo per raccogliere l'acqua, lascia inavvertitamente cadere il secchio, che resta impigliato sul fondo; seccato, Pietro riesce a disincastrare il contenitore, senza avvedersi che, insieme al secchio, ha in realtà liberato dal pozzo ben altro. Un misterioso bagliore si sprigiona infatti dal fondo della struttura, un bagliore che i tre inizialmente non notano ma che inizia subito a sortire i suoi effetti: effetti che inizialmente hanno le sembianze di miracoli. Pietro sembra miracolosamente guarito da una malformazione alla gamba che lo costringeva a zoppicare, Alice riacquista la parola e inizia a pronunciare frasi di senso compiuto, l'orto si fa improvvisamente rigoglioso e vede crescere vegetali insolitamente grandi e dai colori accesi. Eppure, la misteriosa forza liberata da Pietro è tutt'altro che benefica, e l'uomo non tarderà ad accorgersene: mentre sua moglie cade dapprima preda di una pressante smania sessuale, e poi di impulsi sempre più violenti e distruttivi, Alice inizia ad assumere comportamenti sempre più inquietanti, mentre la vegetazione dapprima rigogliosa inizia ad appassire e a morire. Costretto a rinchiudere sua moglie, ormai pericolosa, nella soffitta del casolare, Pietro si rivolge a un prete di campagna per scacciare l'entità che sembra aver preso possesso di Lucia. Ma è davvero il demonio a possedere il corpo della donna? O, piuttosto, qualcosa di ancora più pericoloso?


Qualsiasi sincero appassionato del cinema di genere italiano, di ieri come di oggi, non può che accogliere favorevolmente l'uscita in sala di questo Colour from the Dark. Il film di Ivan Zuccon, sesta pellicola del regista (il nuovo Wrath of the Crows è attualmente in fase di post-produzione) è infatti datato 2008, e sembrava condannato, come praticamente tutti i suoi predecessori, all'invisibilità nel nostro paese; una sorte curiosa, per dei film che all'estero, pur nei circuiti indipendenti ad essi dedicati, riscuotono fortuna ed apprezzamenti, frutto di una strategia distributiva che riserva loro uno spazio ad hoc, in modo che possano essere visti e apprezzati. Quella di essere apprezzati maggiormente all'estero che in patria, invero, è stata un po' una costante storica dei nostri più importanti registi di genere: la differenza, però, è che i film di Lucio Fulci e Mario Bava, almeno, gli spettatori italiani potevano vederli; in un periodo in cui, tra l'altro, non esistevano internet e home video, e l'unico modo per vedere un film era uscire di casa e andare al cinema. Ora, la scena horror italiana esiste (e resiste) puntando soprattutto al mercato estero, ma sembra inesorabilmente confinata all'underground e ai circuiti festivalieri specializzati nel nostro paese: è così da lodare l'iniziativa di Distribuzione indipendente di porre fine all'"invisibilità" in sala (pur negli inevitabili limiti distributivi) di un regista come Zuccon, che finora aveva visto distribuito, esclusivamente in home video, solo il suo precedente Bad Brains.

Colour from the Dark prende lo spunto iniziale da un racconto di H.P. Lovecraft (l'inquietante Il colore venuto dallo spazio), così come era stato per la "trilogia" (L'altrove, Maelstrom - Il figlio dell'altrove e La casa sfuggita) con cui il regista aveva aperto la sua carriera nei primi anni 2000. Zuccon, collaboratore ormai decennale di Pupi Avati e fautore di una visione del genere che è inevitabilmente e squisitamente locale, sposta tuttavia il setting della storia nella campagna italiana, e la pone sullo sfondo del contesto bellico. Superato lo shock di sentir parlare in inglese dei personaggi che si muovono in un'ambientazione palesemente nostrana (frutto, quest'ultimo, delle inevitabili strategie distributive volte al mercato anglosassone) bisogna dire che questa scelta suscita un fascino innegabile. Seppur delineati schematicamente, i personaggi appaiono figli di una realtà che conosciamo bene: le tradizioni contadine, il lavoro nei campi, il crocefisso appeso alla parete (futuro oggetto della furia iconoclasta dell'invasore), i rituali quotidiani della vita di campagna: l'influenza del mentore Avati, e della sua concezione del genere (e non solo) è ben presente e palese in questo lavoro. La stessa apparizione del prete di campagna (ben interpretato da Matteo Tosi) risponde alla logica attraverso la quale Zuccon ha voluto mostrare, e sovvertire, quello status quo contadino che dimostra di conoscere bene: sovversione operata attraverso la trasformazione di Lucia in un'oscena parodia di essere umano, attraverso la già ricordata distruzione dei simboli religiosi, ma anche con il progressivo sfaldamento di quell'idea di ordine, di quell'incedere del tempo tranquillo, sempre uguale a sé stesso, che qui viene scandito attraverso la conta di giorni che vedono invece, lentamente, trionfare il disfacimento. Tutto, dalla vegetazione ai corpi e alle anime, si disgrega progressivamente; il ritmo del film, come dichiarato dallo stesso regista, è quello di una dissolvenza in nero.
Colour from the Dark, girato in digitale con un budget esiguo, e interpretato da un cast con una certa esperienza nel genere (si ricordano il protagonista Michael Segal e la scream queen Debbie Rochon, oltre al già citato Matteo Tosi) mostra una buona cura nella costruzione dell'immagine, frutto dell'innegabile gusto visivo del regista. Nonostante i limiti di effetti speciali che, dati i mezzi a disposizione, non possono certo competere con ciò che proviene da oltreoceano, il film di Zuccon vanta un'ottima fotografia, che il regista ha curato personalmente e riesce a rendere bene la progressiva, appena menzionata perdita di colore e consistenza dell'universo dei protagonisti; e che, complice anche la buona colonna sonora, fa spesso apparire inquietanti e minacciose anche le sequenze diurne. Il regista mostra di conoscere bene i meccanismi del genere, e di saper sfruttare anche i suoi stratagemmi più collaudati (non mancano salti sulla sedia e momenti decisamente splatter) amalgamandoli però con una visione più personale, in cui possiamo trovare anche interessanti aperture oniriche (specie nei sogni premonitori di Anna, vicina di casa della coppia protagonista). Va poi menzionato il tema della guerra, tenuto sì sullo sfondo ma presente come un interessante non detto in tutta la narrazione: un motivo che, facendo le dovute proporzioni, avvicina il film agli horror storico/politici di Guillermo Del Toro. Dimensioni produttive molto diverse, ma analogo gusto immaginifico e senso del racconto per immagini: l'ovvia considerazione che discende da questo paragone è che, se fosse stato prodotto in Spagna, un film come questo non si sarebbe ridotto a uscire, quattro anni dopo la sua realizzazione, in un pugno di sale. Grazie a Dio (o forse alla misteriosa entità iconoclasta del film) registi come Zuccon continuano a muoversi in un underground più che mai ricco di vita, fermento, idee. Nell'attesa (vana?) che in superficie, finalmente, qualcosa inizi sul serio a muoversi.

Movieplayer.it

3.0/5