Todd Solondz sbarca al Lido sul suo Dark Horse

Presentato alla 68ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica il nuovo film del regista di Happiness, che torna in concorso con il suo spirito grottesco e graffiante a due anni da Perdona e Dimentica.

Un bamboccione di 40 anni un po' sfortunato alle prese con una grave sindrome di Peter Pan da cui fatica ad uscire. I rapporti familiari sono un totale disastro: il padre non lo stima né come persona né sul lavoro e continua ad incolparsi degli insuccessi del figlio anche alla luce dei traguardi raggiunti dall'altro figlio minore che è andato via di casa ed è diventato medico, mentre la mamma lo coccola e lo asseconda come se avesse dieci anni. Da sempre un cineasta che ha raccontato i rapporti familiari in un modo che definire caustico è usare un eufemismo, Solondz sembra aver perso lo smalto che lo aveva contraddistinto nelle sue opere precedenti e ci regala divertimento e brillantezza un po' annacquate con Dark Horse, espressione americana che sta a indicare una persona che avrebbe le potenzialità per arrivare ai massimi livelli ma permane per sfortuna o poco coraggio nella nella sua mediocrità.
Presenti in sala alla presentazione veneziana del film il regista di Newark, l'attore protagonista Jordan Gelber, che arriva sul grande schermo dopo diversi lavori televisivi e la co-protagonista Selma Blair che torna a lavorare con Solondz nei panni di Miranda nella prosecuzione idale del personaggio nato in Storytelling.

Lei stesso a definito il suo film come un film dolce e tenero, può spiegarci meglio cosa intendeva dire?
Todd Solondz: E' buffo perchè per quanto possa essere considerata una commedia, il film non fa poi tanto ridere, o almeno io non riesco a ridere guardando il mio film. In realtà per me questa è una storia piena di dolore, mi ha pervaso una grande malinconia durante le riprese e anche ora quando lo guardo non lo faccio mai con leggerezza. Il protagonista è senza dubbio un uomo problematico, incontra nella sua vita una serie di sfortune così gravi che alla fine le cose possono solo migliorare. Ad un certo punto le cose cambiano totalmente e la dimensione onirica che vediamo sullo schermo ha un po' il sapore della redenzione per lui, come se i suoi sogni alla fine diano significato alla sua vita. Ho provato grande tenerezza nei suoi confronti e nei confronti degli altri protagonisti, mi ha commosso ed è questo che mi ha spinto a scrivere e dirigere questo film.

Jordan, hai definito questo film diverso rispetto ai due precedenti di Todd, ci spieghi perchè?
Jordan Gelber: Sì, anche se alla fine mi sono accorto che non è poi tanto diverso. Forse la cosa che contraddistingue Dark Horse è il fatto che è guidato da un unico personaggio a cui si accodano poi le storie di tutti gli altri. Todd si concentra su un solo personaggio qui mentre gli altri film erano corali e ognuno dei personaggi si influenzava a vicenda. Per Todd è un po' un ritorno alle origini, alla struttura narrativa di Fuga dalla scuola media.

Cosa l'ha attratta maggiormente del suo personaggio quando ha deciso di partecipare al film?
Jordan Gelber: Direi senza dubbio il conflitto di Abe, il fatto che è fisicamente un uomo in tutto e per tutto ma non è mai crescuto veramente, i suoi coetanei sono già sposati mentre lui vive ancora con i genitori in una dimensione ancorata al passato che è pesantemente anacronistica.

Dark Horse è un'espressione di uso comune in America, ci spieghi meglio cosa significa?
Todd Solondz: Si usa quando si parla di qualcuno che potrebbe avere successo ma non lo raggiunge mai. E' uno sforzo commovente quello che Abe fa nel film ed alla fine scopriamo che il padre aveva puntato tutto su di lui mentre ora lo considera un fallito a tutto campo. Se dovessimo fare una traduzione per il titolo italiano ci starebbe bene il termine 'scommessa', anche se non sarebbe esatto fino in fondo perchè per colpire nel segno dovrebbe riferirsi ad una scommessa di difficile vittoria e a lungo termine.

Nel suo cinema c'è una dolcezza tragica, i suoi film hanno qualcosa di estremamente politico, rappresentano i miti della famiglia americana e improvvisamente diventano assurdi con la conseguenza che alla fine la storia demolisce tutto ciò che essi rappresentano. Cosa ne pensa di questa visione?
Todd Solondz: Non credo ci sia una ricetta per interpretare un film e che non ci sia un'interpretazione giusta o sbagliata dei miei film. C'è sempre una dimensione politica in ogni film, l'autore ce la mette anche inconsapevolmente, certo è che questa è una storia che parla di un quarantenne che ha una collezione di action figures ma la cosa più strana non è questa bensì il fatto che sembra quasi che sia la collezione a possedere lui anziché il contrario. Credo sia un concetto sintomatico per una società consumistica come quella in cui viviamo, come viene più volte detto anche nel film. Tutto è reso in maniera molto infantile, c'è insita anche un'enfatizzazione del materialismo ma non voglio apparire troppo pretenzioso.

Pensa che Dark Horse sia una diretta conseguenza di quel filone Hollywoodiano di commedie sullo stile di 40 anni vergine in cui il maschio americano viene disegnato come un eternamente adolescente che non ha aderito al modello classico della famiglia?
Todd Solondz: Non so se sia una cosa prettamente americana quella di collezionare fumetti e pupazzi a quarant'anni, credo sia un fenomeno che esista dappertutto, in Oriente come in Europa. Il protagonista non fa altro che cercare di aggrapparsi alla sua giovinezza e ai suoi sogni, nonostante siano ormai irrecuperabili, la sua è una patologia vera e propria a mio avviso, ma l'idea è quella dell'aggrapparsi al passato per fermare lo scorrere del tempo.

Ci spiega l'uso dei sogni nei suoi film? E' come se avesse voluto dirci che i sogni possono portare alla redenzione, magari anche renderci delle persone migliori...
Todd Solondz: Ho usato il sogno in Dark Horse per ruscire ad avere accesso alla complessa vita interiore del personaggio, erano conflitti che lui non sarebbe mai riuscito ad esrpimere nella vita reale, volevo rappresentare la sua parte inconscia perchè riteneo fosse importantissima. Non so dirvi se i sogni mi abbiano mai reso migliore.

Nel corso degli anni e di tanti film le attrici dei film di Todd Solondz hanno assunto sempre espressioni facciali particolari, quando partecipano ai suoi film è come se cambiassero modo di recitare, come se il regista con le sue direttive le mettesse in uno stato mentale parallelo, come la vedete?
Selma Blair: Credo che le persone quando non sono osservate e non si sentono in imbarazzo assumano un'espressione diversa da quella che hanno normalmente, c'è tutto un lavoro che si fa sulla voce, la storia diviene molto reale ma non c'è nulla di specificatamente premeditato. Todd riesce a capire le mie difficoltà nell'interpretare certi stati d'animo e certi personaggi e quindi cerca di guidarmi al meglio. Miranda è una donna insoddisfatta e triste che ad un certo punto inizia a pensare di non essere più in grado di fare nulla di buono, né di sposarsi né di fare figli, né di andare via di casa. Non ha spazio per la gioia nella sua vita ma non so se effettivamente si senta così triste come fa sembrare.
Todd Solondz: Non so dire se sia vero, io non me ne rendo conto, non faccio caso a questi particolari. Nel caso di Dark Horse ho scelto un inizio musicalmente esuberante, un hip-hop celebrativo e frizzante che mi è stato molto utile per andare a posizionare lo sguardo sui due protagonisti, immobili, freddi, soli, due ragazzi totalmente sconnessi da tutto ciò che li circonda.