Recensione Memorie di una geisha (2005)

Mancano le grandi emozioni, un coinvolgimento emotivo che avrebbe potuto rendere questa pellicola qualcosa di più che una splendido affresco da ammirare in maniera distaccata.

Sotto il kimono niente

Dopo lo straordinario successo di pubblico e critica ottenuto dall'adattamento cinematografico del musical Chicago, il regista Rob Marshall porta sul grande schermo uno dei più grandi casi letterari degli ultimi anni, il romanzo Memorie di una geisha di Arthur Golden.
Il film, che arriverà in oltre centocinquanta sale italiane a partire dal sedici dicembre in contemporanea con il resto d'Europa, racconta la storia della piccola Chiyo (l'esordiente Suzuka Ohgo), una bambina di un villaggio di pescatori giapponese che viene strappata dalla povertà della sua famiglia per lavorare in un okiya, una casa di geishe, dove dovrà subire le angherie della perfida Hatsumomo (una splendida Gong Li nella sua prima apparizione in una produzione americana) e sarà costretta a vivere in un mondo che non le appartiene e non comprende.

Insieme alla piccola Chiyo osserviamo con fascinazione e timore l'hanamachi, il quartiere delle geishe, nella sua epoca d'oro, gli anni '30, e le tradizioni e i misteri insiti in queste figure leggendarie, donne tanto splendide quanto abili nel canto, nella danza, nei rituali del thè ma anche dalla grande cultura, in grado di intrattenere personalità della società più esclusiva.
La ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere raccontate nel libro, lo sguardo occidentale ma curioso con cui Golden osservava questi luoghi e tempi lontani è magistralmente reso nelle impressionanti scenografie di John Myhre (già premio Oscar per Chicago), nella fotografia naturalistica di Dion Beebe, nei ricchissimi costumi di Colleen Atwood (altro premio Oscar per la precedente opera di Marshall) o nelle struggenti musiche di John Williams.

Un primo cambiamento di registro nel film si nota a partire dal fatale incontro di Chiyo con il personaggio interpretato da Ken Watanabe, il Presidente, un potente uomo d'affari che per primo le mostrerà che nella vita non c'è solo dolore ma anche affetto, conquistandone così per sempre il cuore e aprendole le strade verso il suo destino da geisha.
Chiyo così si trasforma nella splendida Sayuri (molto ben interpretata da un'intensa e credibile Zhang Ziyi) e allo stesso modo la narrazione muta, mostrando quelle stesse vite e tradizioni da un punto di vista diverso, più interno e personale. Il passaggio da serva a maiko, apprendista geisha, ci permette di accedere ai segreti più reconditi di queste creature, dall'addestramento alle arti e movenze insegnate dall'esperta Mameha (un'affascinante Michelle Yeoh) al sacrificio dei proprio sogni e desideri di una vita vera e libera.
Sayuri si dimostrerà ben presto una geisha straordinaria, non solo per fascino e abilità, ma perché riuscirà a far emergere la propria anima e le proprie emozioni attraverso le rigide regole della società in cui vive e che rappresenta, trovando così l'amore e il compiersi del destino che aveva fortemente cercato.

L'impresa di Marshall era sicuramente ardua, considerato che i più grandi pregi del romanzo erano senza dubbio le tante sfaccettature di questo mondo misterioso che venivano raccontate in prima persona da un'anziana Sayuri tanto nostalgica quanto ormai disincantata, e l'impressione generale è che si sia cercato di sopperire a queste mancanze con una confezione sontuosa e patinata e accontentandosi di una sceneggiatura fedele alla struttura narrativa del romanzo ma non al suo spirito. Quello che manca sono sicuramente le grandi emozioni, quel coinvolgimento emotivo che ci avrebbe permesso di giustificare anche la banalizzazione del soggetto in una delle tante storie d'amore impossibili e che avrebbe potuto rendere questa pellicola qualcosa di più che una splendido affresco da ammirare in maniera distaccata.

Movieplayer.it

3.0/5