Slow Food Story, la rivoluzione gastronomica arriva in sala

Presentato stamattina a Roma il documentario passato in anteprima al Festival di Berlino che racconta la storia di un movimento rivoluzionario che a partire dagli anni '70 ha fatto del mangiar sano nel rispetto del territorio il suo cavallo di battaglia.

Chi mangia sano e piano va lontano, lo sa bene Carlo Petrini, per gli amici Carlìn, il fondatore dell'associazione Slow Food, di quel grande fenomeno internazionale che è stato ed è Terra Madre e dell'Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Tutto nasce a Bra, un paesino di ventisettemila abitanti delle langhe piemontesi, quando dopo anni d'impegno nel rispetto dei prodotti della terra della sua provincia e nell'organizzazione di manifestazioni incentrate sulla gastronomia locale, nel 1986 Petrini fonda l'associazione gastronomica Arci Gola che coinvolge i vini e i prodotti agroalimentari della zona. Pochi anni dopo, nel 1989, a Parigi, un manipolo di gastronomi provenienti da tutto il mondo si riunisce dando vita al movimento denominato Slow Food, il cui simbolo è una chiocciolina, che va nella direzione opposta rispetto alla politica e alle logiche 'consumistiche' del fast food. Un percorso umano, politico, alimentare e territoriale quello di Petrini & Co. che il regista Stefano Sardo, nato a Bra e figlio di Piero Sardo, co-fondatore e Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, ha voluto raccontare in un documentario dal punto di vista di chi questa 'rivoluzione' l'ha dentro dalla nascita. Presentato all'ultima Berlinale nella sezione Kulinarisches Kino e incomprensibilmente snobbato da tutte le reti televisive italiane, Slow Food Story uscirà in una manciata di sale il 30 maggio prossimo distribuito da Tucker Film e Indigo Film, quest'ultima produttrice del film insieme alla Tico Film. Il regista e sceneggiatore di Slow Food Story, accompagnato dal lìder màximo di Slow Food Carlo Petrini, che ha colto l'occasione per criticare aspramente la spettacolarizzazione messa in scena da show come MasterChef Italia, e a Nicola Giuliano di Indigo Film, ha presentato il divertente documentario alla stampa presso il cinema Quattro Fontane di Roma. Moderatrice d'eccezione dell'incontro Lella Costa.

Il suo e quello della sua famiglia è un legame strettissimo con il fenomeno Slow Food, è questo che l'ha convinta a scrivere e a realizzare questo documentario o c'è dell'altro?
Stefano Sardo: Devo ammettere che il film non è frutto di una mia idea nonostante mi sentissi quasi destinato a raccontarla per immagini. Sono nato e cresciuto a Bra, ho lavorato per un paio d'anni in Slow Food e quella che si respira lì dentro per me è l'aria di casa ma nonostante questo ho avuto un attimo di resistenza quando me l'hanno proposto. Per me è stato un po' come andare in analisi perché per quanto una persona possa amare la sua famiglia, non è detto che si debba avere per forza la voglia di passare tanto tempo con essa per motivi di lavoro.

Come ha fatto a tenere separata la sfera personale con quella lavorativa in una situazione come questa?
Stefano Sardo: Ho cercato di mettere da parte quello che sapevo, le mie esperienze dirette e mi sono sforzato di vedere le cose con obiettività. In un primo momento ho scritto solo la sceneggiatura affinché qualcuno lo dirigesse, poi mi hanno chiesto anche di fare la regia ed è in quel momento che ho iniziato a capire veramente cosa c'è stato alla radice di questa sorta di rivoluzione.

C'è un qualche aspetto che avrebbe voluto mettere nel film e che ha tralasciato per una sorta di 'autocensura'?
Stefano Sardo: Per il film ho realizzato quarantotto interviste e ore di girato insieme ad altrettanto materiale di repertorio, reperire i materiali filmati di Slow Food non è stato facile e se pensate che da tutto questo abbiamo estratto un documentario che dura solo settantatré minuti allora vi renderete conto di quanto abbiamo tralasciato. Ho cercato di trovare un equilibrio nel raccontare la storia umana e professionale di tante persone a me care e di Carlo Petrini, l'ideatore di tutto quello che avete visto. Una missione quasi impossibile, il lottare contro la diffidenza e la reticenza della provincia piemontese che alla fine ha ceduto il passo ed ha accettato questa realtà come una vera e propria entità territoriale.

Un percorso lungo quello che ha portato Slow Food e tutto quello che ruota attorno all'associazione ad arrivare dov'è oggi, con tutte le implicazioni politiche, sociali e culturali dei suoi creatori...
Stefano Sardo: Petrini e i suoi amici all'inizio a Bra erano una minoranza vistosa, rumorosa e tollerata a fatica ed io che ero un ragazzino tutto questo non l'avevo mai capito. Quando ho lavorato al film fortunatamente mi hanno raccontato la verità ed è lì che ho capito che quello di Slow Food in realtà è stato un percorso tutt'altro che naturale. La loro è una storia di perseveranza, bisogna essere testardi per portare avanti una cosa del genere soprattutto in una zona in cui i tuoi stessi compaesani ti guardano dall'alto in basso. Ce n'è voluto di tempo per farsi accettare ma poi i langhesi si sono arresi per sfinimento, è stato un processo molto 'slow' anche in questo, sono riusciti a far capire a tutti che quello che loro avevano creato sarebbe andato ad accrescere il patrimonio cittadino di tutti.

Può questo ritorno alle origini e questo riavvicinamento alla terra aiutarci in questo momento di grande crisi sociale e politica secondo Carlo Petrini?
Carlo Petrini: C'è bisogno di nuove riflessioni e niente più che il cibo ci porta a considerare quello che per troppi anni abbiamo imposto ai nostri territori, ipersfruttati e in crisi di fertilità. Tra pochi anni mancherà l'acqua per irrigare e questo ci porterà a nuove guerre e non sottovalutiamo la quasi totale scomparsa della classe contadina italiana. Auspicare in un momento come questo ad un ritorno alla terra è un segnale importante da dare alle giovani generazioni che sono sempre più costrette a fare passi indietro.

Qual è secondo lei la soluzione?
Carlo Petrini: Bisognerebbe, in un Paese che fonda le sue ricchezze sula cultura, sul patrimonio architettonico e sulla gastronomia, evitare di distruggere l'economia della terra e ancor più evitare di trattare come ministeri di serie B quei ministeri che si occupano di cultura, agricoltura e beni culturali. In America la rivoluzione è già iniziata perché le istituzioni hanno iniziato a prendere sul serio questi aspetti, l'Italia è una nazione che non sa concepire la gastronomia come una scienza capace di parlare alle persone, alla loro felicità e al piacere di nutrirsi. Trasmissioni come Masterchef sono una dimostrazione di questa mia affermazione, i protagonisti di questi show pensano di esprimere la quintessenza del pensiero filosofico ma si comportano come se fossero i padroni assoluti del sapere culinario. Sembrano essersi dimenticati del loro inizio di carriera, trattano male i concorrenti anziché consigliarli e incoraggiarli, in alcune parti del mondo sono i grandi chef gli artefici della 'liberazione gastronomica' dei loro paesi. Non pagano ad esempio il dazio a tutti quei milioni di donne che senza ricevere riconoscimenti hanno creato i piatti più buoni della storia dell'umanità. Siamo arrivati al borderline della pornografia alimentare.

Come vi siete difesi dagli 'avvoltoi' che per anni hanno gravitano attorno ad una creatura preziosa come Slow Food con la speranza di agguantarne i segreti e le fortune?
Carlo Petrini: semplicemente lavorando nello specifico in una disciplina che mai è stata concepita come scienza disciplinare complessa ma per tutto il '900 relegata in una dimensione autoreferenziale. La gastronomia non è solo valutazione o assaggio, numero di stelle o di forchette. La gastronomia è antropologia, agricoltura ed è soprattutto economia politica, il cibo nutre il ventre delle persone, diventa parte di esse e se pensiamo che l'80% delle sementi mondiali è in mano a quattro o cinque multinazionali e che il land grabbing è da considerarsi come la forma di colonialismo più forte mai esistita negli ultimi secoli, allora forse ci rendiamo conto dell'importanza dell'argomento che trattiamo. Parlare di gastronomia deve significare parlare del lavoro sottopagato delle braccia impiegate nell'agricoltura.

Il motivo per cui nel film ha scelto di intervistare brevemente anche Joe Bastianich?
Stefano Sardo: Ho cercato di dare al film un equilibrio, avrei voluto inserire anche opinioni contrastanti al movimento di Slow Food ma non c'era spazio per creare un dibattito. Questa era una storia con una identità definita e quindi ho preferito non insistere sull'argomento. Bastianich partecipava a Eataly e mi è venuto naturale sentire anche la sua opinione, non per questo mi sento di approvare quello che lui fa nelle trasmissioni televisive a cui partecipa.

Come mai secondo lei Slow Food Story non ha trovato una collocazione degna sulle nostre reti televisive che abbondano di trasmissioni di cucina ad ogni ora?
Nicola Giuliano: Abbiamo chiesto un passaggio televisivo da grande pubblico ma ci hanno risposto di no ovunque tranne che a Doc3 con passaggi ad orari 'difficili'. Si è parlato solo di Auditel e di share, il nostro film non rientra nella spettacolarità, né è buono per inserimenti pubblicitari ma quello che ci ha più ostacolato è stata la previsione sul numero di spettatori che lo avrebbero visto. Non è un caso che uscirà in poche sale e solo nel centro nord Italia, al sud le sale chiudono e far uscire in sala un documentario in questo periodo è difficilissimo. Il film ha un distributore internazionale austriaco che lo porterà in giro per il mondo ed è stato co-prodotto con Irlanda e pre-acquistato in Polonia, Croazia e Montenegro. Non ci aspettiamo di certo i numeri di Iron Man ma siamo dell'idea che l'uscita di Slow Food Story sia un gesto necessario in un Paese che perde la memoria continuamente, un piccolo gesto di resistenza al cinema commerciale.