Roma 2012: Paolo Franchi anima il festival con E la chiamano estate

Dopo La spettatrice e Nessuna qualità agli eroi, il regista torna al cinema con un film troppo manierista sull'intimità coppia e le sue molte variabili autolesioniste interpretato da Isabella Ferrari e Jean-Marc Barr.

Paolo Franchi si presenta all'incontro con la stampa indossando un paio d'occhiali da sole circondato dall'intero cast quasi a darsi forza. Il problema è che, nonostante i quattro anni dedicati a questo lavoro, il suo film E la chiamano estate, terza ed ultima pellicola italiana ad essere presentata in concorso al Festival di Roma, non ha incontrato il favore dei giornalisti, rimasti allibiti di fronte ad una voluta incomunicabilità dell'opera. Concentrato intorno alla vicenda intima e personale di Dino e Anna, una coppia di quarantenni, il racconto cerca di mostrare i lati più intimi e confessabili di un rapporto sentimentale deleterio dove sessualità e sentimento si esprimono in ambiti completamente diversi. Per questo motivo, pur amando profondamente la sua donna, Dino non riesce a soddisfarla fisicamente ma sviluppa all'esterno una sessualità compulsiva. A sollevare clamore misto a ilarità, però, non è una tematica già ampiamente trattata al cinema, ma la forma "filosofica" che il regista ha deciso di utilizzare per la sua narrazione.

Dimostrando un iniziale rifiuto a rendere più accessibile il suo lavoro agli addetti ai lavori, Franchi alla fine risponde che era sua intenzione_ "mostrare l'amore anche come condivisione del dolore, uscendo fuori dai canoni imposti dalla società". Per dissolvere, poi, i dubbi intorno alla struttura simbolica e irreale del film il regista spiega: "Il tempo della narrazione è rappresentato da una reiterazione costante. In realtà tutto è costruito come una linea curva dove passato e presente possono ripetersi all'infinito. Il film svela le sue carte fin dall'inizio, per poi farsi trasportare da questo movimento costante. D'altronde non volevo che la narrazione avesse un'impronta realistica, per questo il tempo è concepito e gestito in modo del tutto diverso". _Prodotto dalla Pavarotti International e distribuito in sala da Officine UBU dal 22 novembre, E la chiamano estate è costato mediamente intorno al milione e mezzo, vedendo proprio in Nicoletta Mantovani una delle sue più grandi sostenitrici.

"Quando ho letto il copione di Paolo ho capito che ero davanti ad una storia importante. In modo particolare mi interessava parlare del dolore sotto forma di metafora. Per questo motivo non capisco questo attacco frontale, come se fossimo in una fossa di leoni. Per produrre un film d'autore che, consapevolmente, non farà botteghino ci vuole molto coraggio, quindi non comprendo l'atteggiamento ostile dei giornalisti che dovrebbero essere dalla parte dei produttori, soprattutto quelli indipendenti". Posto che la stampa cinematografica dovrebbe avere come unico punto di riferimento l'interesse del pubblico, il film è stato sostenuto e difeso con assoluta coerenza anche dalla protagonista Isabella Ferrari che, insieme a Jean-Marc Barr hanno dato vita a questa storia d'amore autolesionistica. "Ho sempre apprezzato il lavoro di Paolo e fin dal nostro primo incontro ho capito di voler realizzare questo film. Non mi ha dato tempo e spunti per preparare il personaggio, ma sono stata invitata a gettarmi istintivamente nella performance. In questo metodo mi ha permesso di galleggiare, sprofondare e riemergere dalla storia senza provare il minimo imbarazzo per le scene di nudo. Anzi, credo di non essermi mai sentita così libera e senza costruzioni". A concludere l'incontro più movimentato del festival è lo stesso Franchi che dichiara: _" Voi mi chiedete perché abbia scelto di utilizzare un linguaggio ermetico che, sicuramente, mi renderà inaccessibile a molti. Io vi rispondo che non ho alcun interesse di arrivare a tutti. Posso capire che alcuni tempi, che voi chiamate morti, ed inquadrature prolungate vi abbiano destabilizzato, ma non importa. Siamo tutti diversi e sono consapevole di non poter piacere a chiunque. E' come se cento persone si trovassero di fronte ad un'opera d'arte. Novantanove rimangono indifferenti e poi c'è la centesima che sente un sommovimento emotivo. Ecco, a me interessa parlare a quel singolo spettatore". _