Robert Guédiguian presenta Le nevi del Kilimangiaro

Abbiamo incontrato il regista francese, insieme alla protagonista Arian Ascaride, per un'interessante conversazione sul suo nuovo film, ispirato a un poema di Victor Hugo.

Il regista Robert Guédiguian ci propone, con Le nevi del Kilimangiaro, un cinema prettamente politico. Un cinema che, pur facendo suo uno spunto proveniente da lontano (l'ispirazione iniziale è il poema Les pauvres gens di Victor Hugo) affonda il coltello in problemi e contraddizioni della società moderna, in una crisi che, ben lungi dal vedere la sua conclusione, continua al contrario a creare, in tutti i paesi occidentali, nuovi poveri; lo fa, il film del regista francese, mantenendo tuttavia una leggerezza di tono che crea un curioso contrasto con la nettezza delle tesi che propone, e con l'impeto militante che ha evidentemente animato il cineasta nel realizzarlo. Proprio Guédigian, insieme alla brava protagonista Ariane Ascaride, ci ha parlato, in un interessante incontro, del film e delle istanze, sia etiche che cinematografiche, che stanno alla sua base.

Per realizzare il film lei si è ispirato ad un poema di Hugo, ma in che modo ci ha lavorato? Si può forse dire che il film rappresenti I miserabili moderni?
Robert Guédiguian: La poesia di Hugo racconta proprio una storia di miserabili, e il suo finale è esattamente uguale alla fine del mio film: un uomo decide di adottare due bambini in condizioni di bisogno, e quando comunica la sua decisione alla moglie, scopre che lei ha già preso la stessa decisione. Pensavo che sarebbe stato un finale bellissimo per un film, così ho deciso di costruirci intorno una storia ambientata ai giorni nostri.

Secondo lei, in una società ormai contrassegnata dall'egoismo, una vicenda del genere è verosimile? Robert Guédiguian: Certo, è verosimile anche se raro. Ma il cinema esiste non per raccontare la norma quanto piuttosto le eccezioni, gli esempi.

Cosa si può fare, secondo lei, per far cambiare mentalità ai tanti che ragionano come Raoul, l'amico del protagonista? La sua è una mentalità forcaiola, tuta tesa alla vendetta. Robert Guédiguian: Penso che si possa far cambiare idea a queste persone proprio attraverso il comportamento, attraverso azioni concrete: è quello che fanno Michel e Marie-Claire. I discorsi non bastano.

Nei suoi film c'è spesso un rovesciamento di ruoli tra vittime e carnefici. Anche qui, non sappiamo bene chi sia il vero colpevole. E' forse la società, più che gli individui? Robert Guédiguian: Il film giudica la società, certo: è la sua condizione sociale che ha costretto Christophe a compiere l'aggressione. Con questo non lo giustifico, ovviamente, ma, così come i due protagonisti, lo comprendo. Il film lavora proprio su quella che dovrebbe essere la riconciliazione tra tutti i miserabili, per ricostruire quella che io chiamo coscienza di classe.

Nel film è interessante l'aspetto del confronto generazionale. Secondo lei, le nuove generazioni sono davvero così disilluse e poco combattive? Robert Guédiguian: Spesso è così, anche se spesso non vuol dire sempre; questo succede da quando è fallita la grande alternativa comunista. La gioventù moderna è una gioventù senza proposte; ma non possiamo incolparla per questo, in quanto non viene prospettata ad essa alcuna soluzione. Io penso che sia urgentissimo, oggi, riformulare una proposta alternativa alla società esistente, e penso che quella del comunismo sia in realtà un'idea nuova: più che reinventarla, bisognerebbe inventarla.

Ariane Ascaride, quanto c'è di lei nel suo personaggio?
Ariane Ascaride: Io sono un'attrice, il personaggio non sono io, anche se mi piacerebbe somigliarle. Mi è piaciuto interpretarla perché credo ci siano molte donne come lei, donne che accompagnano le persone che hanno accanto in tempi difficili, che sostengono e riuniscono, facendo in modo che le cose vadano avanti. Sono eroine anonime, noi le incrociamo senza farci caso, ma io credo che la maggior parte delle donne sia così; specie quelle dei ceti popolari. A me piace interpretare questi personaggi, che non fanno parte della fantasia collettiva ma in cui ci si possa facilmente riconoscere.

Personaggi del genere si possono forse definire alieni, in una società sempre più cinica... Ariane Ascaride: Il cinismo per me è la morte. Lo considero una fuga rispetto all'azione, un ripiego; indubbiamente esiste, ma non lo capisco e lo rifiuto.

Il film è fortemente politico, e mostra quelli che sono problemi senza soluzione. La soluzione sembra essere l'azione, come quella dei due protagonisti, che forse può cambiare le cose. Il senso è questo? Robert Guédiguian: Quello di Michel e Marie-Claire è un gesto esemplare, certo non la soluzione dei problemi, ma forse l'inizio di una possibilità di soluzione. La soluzione a mio avviso arriva con la riunione di una classe forte, e in essa vedo i diversi personaggi del film: Christophe con i due protagonisti, questi ultimi con Raoul e Denise, con i figli, ecc. Tutti insieme rappresentano la classe operaia, intesa in un senso moderno: se questa unione funzionasse sarebbe possibile creare una contro-società, che garantirebbe più felicità a tutti.
Ariane Ascaride: Una volta si parlava di controcultura, e ora, da 30 anni, questo termine sembra sparito. Eppure, la controcultura esiste ancora, basterebbe sulla brace e subito la fiamma si riaccenderebbe.

I protagonisti in realtà si sentono i "nuovi borghesi", non riescono neanche più a definire la propria classe. Secondo lei una nuova unità di classe dovrebbe riguardare anche questi soggetti? Robert Guédiguian: Sì, perché la classe operaia in senso stretto oggi si è ridotta; è un concetto che bisognerebbe ridefinire parlando dell'insieme dei lavoratori poveri. Non soltanto quelli con la tuta blu che vanno in fabbrica, quindi, ma anche quelli precari o sottopagati che lavorano negli uffici.

Molti dialoghi sembrano liberi, quasi che non ci fosse una sceneggiatura strutturata. È stata data una particolare libertà agli attori? Ariane Ascaride: In realtà il film è al contrario molto scritto, c'era una sceneggiatura ben strutturata, ed è proprio questo il bello: restituire, sullo schermo, quella sensazione di libertà, come se si trattasse di un'improvvisazione.

Come giudica la madre di Christophe, che ha praticamente abbandonato i figli? C'è anche per lei uno sguardo comprensivo, visto che in fondo si è trovata a vivere una vita che non voleva? Robert Guédiguian: Certo. Noi volevamo raccontare i miserabili di oggi, e attraverso alcuni personaggi secondari raccontare anche la miseria del mondo: questa miseria riguarda anche le donne. Certo che provo comprensione per quella ragazza, in fondo quei tre figli le sono stati imposti e le è stato negato di vivere la sua vita. Credo comunque che lei sia molto infelice nel momento in cui li abbandona.

Come mai, nonostante la durezza della storia raccontata, nel film c'è una fotografia così luminosa? Robert Guédiguian: Io in passato ho fatto film molto cupi, in cui la gente si suicida, si uccide a vicenda, e via dicendo: film senza speranza. In queste pellicole, la luce è più contrastata e ci sono tonalità più tendenti al blu; ma ho diretto anche film, definiamoli così, più incoraggianti, e questo fa parte di questa seconda categoria. Con una decisione a tavolino, per questo film abbiamo voluto un altro tipo di illuminazione, più solare. E' la luce della rivoluzione!